Società

I migranti dopo Lampedusa

Anche dopo la visita di Papa Francesco a Lampedusa, sull’accoglienza dei migranti continua a esserci confusione. Bisogna distinguere tra le diverse motivazioni di chi arriva in Italia, tra chi chiede asilo e chi cerca di lavoro. Regolarizzazioni, espulsioni e contraddizioni tra politica e mercato.
di , lavoce.info, 16 Luglio 2013

L’accoglienza dei rifugiati

La visita di Papa Francesco a Lampedusa ha avuto il merito di attirare l’attenzione sul dramma dei viaggi della speranza, scuotendo l’anestesia delle coscienze nei confronti delle vittime delle traversate e delle traversie dei superstiti. Forse per un giorno il termine “clandestini” è stato rimosso dal discorso pubblico. Molti commenti tuttavia, benché benevoli nei confronti dell’iniziativa papale, hanno seminato fraintendimenti rispetto a problemi già di per sé complicati. Uno dei più frequenti e insidiosi, perché travestito di apparente buon senso, è consistito nella domanda retorica: non si devono porre limiti all’accoglienza?

Proverò a rispondere, argomentando che la risposta discende dalle motivazioni degli sbarcati. Se si tratta di persone che richiedono asilo, non il Vangelo ma la nostra Costituzione e le convenzioni internazionali che abbiamo siglato ci obbligano ad ascoltarli, a esaminare con attenzione le loro ragioni ed eventualmente ad accoglierli. In nessuno dei testi normativi in materia si prevede che l’obbligo di accoglienza umanitaria cessi una volta superata una certa soglia numerica. In altri termini, abbiamo deciso noi che i diritti umani hanno una priorità assoluta: vengono prima della preoccupazione di contingentare l’accoglienza.

Nel caso di persone che arrivano da paesi in guerra, spesso renitenti alla leva, come nel caso eritreo, o di fuggiaschi da sanguinosi conflitti interni, come nel caso somalo, i tassi di accettazione sono molto alti. Minori e donne incinte non possono essere respinti.

Vediamo i dati. Nel 2011 sono state vagliate dalle competenti commissioni territoriali 25.626 domande di asilo. Di queste solo 2.057 hanno ricevuto pieno accoglimento, con il riconoscimento dello status di rifugiato. Considerando però le altre forme di protezione previste (protezione sussidiaria e protezione umanitaria), si arriva a 10.288 persone accolte nel nostro paese, pari al 40,1 per cento dei richiedenti (ministero dell’Interno, 2012). Nel 2010, le domande vagliate erano state 14.042 e quelle a cui è stata accordata una risposta positiva di vario tipo 7.558 (53,8 per cento).

Ne derivano due considerazioni: primo, non siamo sotto l’assalto di un’invasione: nel 2011 la Germania accoglieva 572mila rifugiati, l’Italia 58mila, come effetto di tutte le decisioni positive degli anni precedenti. Secondo, le commissioni territoriali non possono essere tacciate di lassismo, ma in ogni caso i tassi di accettazione sono piuttosto elevati. A quel punto, scattano gli obblighi umanitari. Si può cercare di ricorrere a fondi europei, si possono coinvolgere istituzioni sovranazionali e altri governi, in modo possibilmente meno goffo di quello tentato dal Governo Berlusconi, ma l’obbligo di accoglienza umanitaria, a volte temporanea, altre volte pleno iure non è aggirabile.

L’accoglienza di chi cerca lavoro

Diverso e più complesso è il caso dei cosiddetti migranti economici, ossia coloro che arrivano in cerca di lavoro. Non vale per loro il diritto di asilo. Non esistono Stati, per quanto democratici, che non si dotino di frontiere, sistemi di controllo, procedure di espulsione.

I problemi sono altri, soprattutto quattro. Il primo riguarda le contraddizioni tra politica e mercato. I nostri Governi hanno emanato sette leggi di sanatoria in venticinque anni, oltre ad altri provvedimenti minori, certificando il fatto che centinaia di migliaia di datori di lavoro (famiglie e imprese) avevano bisogno del lavoro degli immigrati, anche non autorizzati, al punto da volerli mettere in regola: più di un milione nell’ultimo decennio. Da questo punto di vista, la crisi economica ha avuto un impatto molto maggiore delle misure legislative in materia, riducendo drasticamente i nuovi ingressi. E dimostrando, se ce ne fosse bisogno, che i migranti sono attori razionali.

Il secondo problema è quello normativo. Dimentichiamo spesso che un numero crescente di immigrati è cittadino dell’Unione Europea: 1.335.000 secondo il Dossier immigrazione del 2012. Questi, anche se teoricamente a certe condizioni possono essere espulsi, il giorno dopo possono rientrare in Italia. O si riformano i trattati europei e si reintroducono le frontiere interne, oppure una parte consistente degli immigrati risulta di fatto inespellibile. Anche in questo caso, siamo noi ad aver deciso che altri valori sono superiori alla limitazione dell’accoglienza.

Il terzo nodo è quello delle risorse. Come ha spiegato il 9 luglio a Radio 1 il prefetto Morcone, alto dirigente ministeriale, le espulsioni attuate sono in realtà “molto poche”, perché sono “molto costose”, in termini di stanziamenti, personale, mezzi di trasporto, accordi con i paesi di provenienza. La domanda sui limiti dell’accoglienza da un punto di vista pragmatico va convertita in un’altra: quanto siamo disposti a spendere per espellere un maggior numero di immigrati indesiderati? Quanto personale delle forze dell’ordine siamo disposti a distogliere da altri compiti per rimpatriare, in aereo, braccianti moldavi e assistenti domiciliari ecuadoriane senza permesso?

Da qui deriva il quarto problema: occorre fronteggiare le conseguenze della limitazione dell’accoglienza, soprattutto quando si riesce a espellere solo un piccolo numero degli immigrati in condizione irregolare: 2-3 per cento, a seconda delle stime. La Fondazione Rodolfo DeBenedetti ha presentato il mese scorso uno studio in cui non solo dimostra che gli immigrati irregolari hanno una probabilità di essere denunciati per qualche reato pari a sedici volte gli stranieri regolari, i cui dati sono allineati con quelli della popolazione italiana, ma anche che i provvedimenti di regolarizzazione hanno una ragguardevole efficacia nel ridurre i tassi di devianza degli immigrati.

Ne segue un’altra domanda: quanta criminalità siamo disposti a fronteggiare, e con quali mezzi, allo scopo di limitare l’accoglienza? Non conviene regolarizzare, anziché lasciare che gli immigrati non autorizzati rimangano ai margini della società?

I pensosi cultori della limitazione dell’accoglienza dovrebbero dare una risposta a queste domande. Altrimenti, occorre cercare altre strade per costruire un sistema ragionevole di regolazione della mobilità attraverso le frontiere.