Donne di Fatto

Violenza contro le donne: quel pasticciaccio del decreto svuota-carceri

Un pasticcio o cos’altro? Da qualche giorno sul web si commenta il decreto legge Disposizioni urgenti per contrastare il sovraffollamento delle carceri e in materia di sicurezza; meglio conosciuto come il ‘decreto svuota carceri’. Sarà discusso nel Consiglio dei ministri entro pochi giorni e prevede l’introduzione di un capitolo sulla violenza domestica. Il capitolo “Prevenzione e contrasto di fenomeni di particolare allarme sociale” riguarda nuove norme in tema di violenza contro le donne e preoccupa le associazioni di donne impegnate sul problema del maltrattamento familiare perché non rispetta la Convenzione di Istanbul né l’esperienza maturata sul campo dai centri antiviolenza. Desta perplessità perché inserisce alcune norme sulla violenza domestica in una legge che tratta di sicurezza.

Il decreto prevede che il Questore, avuta notizia di un reato di lesioni in situazioni di violenza familiare, anche in assenza di querela, ammonisca l’autore del maltrattamento: un procedura che avviene anche per il reato di stalking. Il progetto di legge definisce poi violenza domestica: tutti quegli “atti non episodici”, di violenza fisica, sessuale e psicologica o economica che si verificano all’interno del nucleo familiare. La sospensione della patente è una delle sanzioni previste per l’autore del maltrattamento.

La considerazione da fare innanzitutto è che la descrizione della violenza domestica come “lesione” e “atto non episodico” si discosta molto dalla definizione di violenza domestica della Convenzione di Istanbul. La legge di ratifica è stata recentemente approvata e già se ne tradisce il testo. Nel trattato europeo, la violenza domestica comprende “tutti gli atti di violenza fisica, sessuale, psicologica, economica che si verificano all’interno della famiglia”: ovvero qualunque atto che provochi sofferenza a prescindere dalle lesioni fisiche e dalla durata del maltrattamento. Il legislatore forse ritiene accettabile una dose minima  di violenza commessa all’interno della famiglia e nelle relazioni con le donne?

Ma i pasticci di questo decreto non finiscono qua, purtroppo. Chi lavora sul campo sa quanto aumenti il pericolo per le donne, quando la violenza familiare è svelata. Quello è un momento delicato perché l’autore delle violenze sente che può perdere il controllo sulla compagna. Ammonire senza mettere immediatamente in sicurezza la donna, (tanto meno coinvolgerla o informarla) significa esporla a rischi altissimi. L’Italia è carente di case rifugio e progetti di ospitalità per le vittime di violenza: ci sono regioni dove non esiste nemmeno un centro antiviolenza. Che accadrebbe ad una donna che continua a vivere sotto lo stesso tetto con l’autore di maltrattamenti dopo l’ammonimento del questore?

L’altro dubbio è come dovrebbe arrivare la segnalazione di lesioni al questore, chiacchiere dei vicini a parte, con il referto dal pronto soccorso? I medici hanno l’obbligo di segnalazione all’autorità giudiziaria solo quando le vittime (se di tratta di adulti) hanno lesioni per le quali è prevista la procedura d’ufficio. Il decreto invece è pensato per le situazioni di violenza denunciabili con la querela di parte. E come si affrontano nei pronto soccorso e negli ospedali italiani i casi di violenza domestica? Sul territorio nazionale non sono attuati in maniera omogenea interventi ad hoc, nei casi di sospetto maltrattamento. Per esempio avviene  di frequente che l’autore delle violenze accompagni o raggiunga al pronto soccorso la moglie o la compagna per controllarla ed evitare che parli con medici o infermieri. Nei presidi sanitari dove sono attuate buone prassi, il personale è adeguatamente formato e preparato onde evitare che  una donna entri nell’ambulatorio del pronto soccorso accompagnata dal  marito o dal compagno. In questo modo si agevola lo svelamento della violenza, si informano le donne sui loro diritti e le si mette in contatto con un centro antiviolenza. Tutto è fatto per evitare rischi alla vittima.  La prima cosa è prendersi cura della donna, rassicurarla, darle indicazioni su come e dove trovare aiuto, darle il tempo di maturare decisioni e fare scelte, preoccuparsi che sia in una situazione di sicurezza prima di qualunque azione legale. Ma quanti sono i pronto soccorso e gli ospedali che attuano queste procedure? 

Resta peraltro incomprensibile che non sia stata prevista la revoca immediata del porto d’armi e il sequestro dell’arma ma solo la sospensione della patente. Il permesso di guida sarebbe rilasciato solo per essere utilizzato nel tragitto da casa al lavoro ma è poco chiara la logica di questa sanzione.

Insomma siamo al solito problema. I nostri governanti continuano ad intervenire sul problema della violenza contro le donne con azioni di carattere securtario e legiferano senza confrontarsi e ascoltare chi opera sul campo. Ma se questo capitolo sarà approvato dal Consiglio dei ministri si  faranno azioni che passeranno sopra la testa delle donne vittime di violenza. Interventi come questi non sono di aiuto alle donne anzi rischiano di essere  persino dannosi se non vengono inseriti e resi coerenti con una rete di azioni e prassi condivise  tra soggetti istituzionali e privati che mettano al centro di ogni percorso la vittima di violenza. Ma si dovrebbe  fare politica e non demagogia.

@Nadiesdaa