Cronaca

Je so’ pazzo: per i pm è boss per i medici folle

Io quando esco me ne vorrei andare in Germania… Cosa farei? Beh, io ho la pensione, potrei vivere tranquillo, fare le passeggiate… No, il tedesco non l’ho studiato però una volta mi sono svegliato la mattina e parlavo tedesco”. Le parole contano, soprattutto se consentono di sottrarsi alla detenzione e ai processi. La frase sussurrata ad un perito, anni fa, è firmata da Mi-chele Senese durante un colloquio nel carcere di Rebibbia. Ribattezzato o’ pazzo per l’abilità di simulare ottenendo benefici e salvacondotti. Lui è uno dei re di Roma, a 56 anni, è boss del narcotraffico. Lo dice la Direzione Nazionale Antimafia: “Nel settore si sottolinea l’operatività del clan Senese e del suo capo Michele o’ pazzo. Punto di riferimento dei gruppi criminali campani e laziali, operanti nel traffico di stupefacenti”. Incompatibile con il carcere dal quale è entrato e uscito grazie alla sua follia, o presunta tale. Comanda l’area sud-est della Capitale. Giornate tra ‘lavoro’, incontri, e passeggiate in famiglia, l’ultima volta fu fermato con moglie e figlio nei pressi di Piazza Venezia. Ama i tavoli a caro prezzo. “A Roma frequenta i migliori ristoranti, uno in centro dove sfilano anche politici e ministri” racconta un inquirente. Questa la vita tranquilla di Michele o’ pazzo. “A Tor Bella Monaca arriva il suo potere e non solo qui” racconta un investigatore.

Una florida piazza quella di Tor Bella, le bande che spacciano guadagnano due milioni di euro al mese. Tor Bella Monaca è uno di quei quartieri cresciuti tra anni Settanta e Ottanta: torri, labirinti di cemento, costruiti e dimenticati insieme con i loro abitanti dallo Stato. Qui si smercia di tutto, e ad ogni ora: hashish, cocaina, eroina. Senese, che nel 1992 si è visto riconoscere l’invalidità civile per “schizofrenia paranoide”, ha girato diversi ospedali psichiatrici. Si è affidato a noti professionisti del ramo, in un lontano passato anche a Peppino Lavitola, padre di Valter. Dalle perizie emergeva la follia di Senese e, allora, niente processo oppure detenzione in clinica. L’ultima nella quale è stato “ospite”, la clinica Sant’Alessandro sulla via Nomentana a Roma, è finita al centro di un’inchiesta giudiziaria: soldi a medici e avvocati conniventi per evitare il carcere. In manette anche l’avvocato Marco Cavaliere, che di Senese era il legale. Un pentito, Sebastiano Cassia, in merito alla scarcerazione di Senese, ha riferito al magistrato “di aver appreso da Maurizio il Tunisino, stretto collaboratore di Senese, che all’avvocato è stata versata la somma di 70 mila euro”. Circostanze da verificare, ovviamente.

Una vita movimentata

Nel 2003, dopo la detenzione, venne trasferito ai domiciliari nel-l’ospedale giudiziario di Montelupo Fiorentino; e in semilibertà, come disposto dal Tribunale di sorveglianza, obbligato a prestare lavoro presso una ditta. Senese degli obblighi se ne sbatteva e continuava a gestire affari e rapporti. La ditta presso cui lavorava, infatti, era sospettata di legami con i clan. Evase anche dall’ospedale giudiziario. Nonostante tutto, quando viene arrestato nel 2009 per lui di nuovo domiciliari in clinica. Al telefono, nel 2003, chiariva il suo credo a un sodale: “Adesso, anche se ho la firma, non me ne frega un cazzo”. L’ultima perizia, disposta dalla Procura Generale della Corte di appello di Roma, ha stabilito che: “Il soggetto possiede la capacità di partecipare coscientemente al processo”. Corrado De Rosa, psichiatra e autore insieme alla giornalista Laura Galesi del libro ‘ Mafia da legare ’ così spiega il caso di Michele o’pazzo: “La sua storia peritale è l’esempio di come si possa strumentalizzare una diagnosi psichiatrica e spiega, senza scomodare trattati di medicina e codici di legge, perché i boss rincorrano le malattie mentali per avere benefici di giustizia. Con le diagnosi psichiatriche che si porta dietro o’pazzo, però, sarebbe impossibile comandare Roma”.

Oggi Senese è libero per la scadenza dei termini di custodia cautelare. Tecnicamente è irreperibile dallo scorso marzo, quando gli agenti bussarono alla porta della sua casa di Morena per notificargli una proposta di sorveglianza speciale. Viaggio a vuoto. Di lui non c’era traccia. O’ pazzo è stato condannato a 8 anni in appello per il possesso di un chilo di droga, una pena rimodulata rispetto ai 17 anni inflitti in primo grado per traffico di stupefacenti. L’associazione, durante il processo, è caduta. Senese tra i mammasantissima ci è cresciuto. Ha attraversato la stagione di sangue più cruenta della Campania. Originario di Afragola, o’ pazzo era il figlioccio dei boss Angelo Moccia e Carmine Alfieri. Nella Capitale arriva negli anni Ottanta. Ha avuto rapporti, come raccontano le carte processuali, con esponenti della ‘ndrangheta, ma anche della mafia siciliana e stretti legami con diversi clan di camorra senza trascurare figure apicali della banda della Magliana. Nonostante tutto, l’impianto accusatorio non è stato sufficiente per riconoscere l’associazione mafiosa in Tribunale. Otello Lupacchini è un magistrato in prima linea, pm nei processi più delicati contro la banda della Magliana e terrorismo, oggi lavora alla Procura generale, su Senese ha un’idea chiara: “Questo caso è paradigmatico di un certo modo di affrontare l’associazionismo criminale a Roma”. Roma come alcova, piazza sicura: nella Capitale – a leggere le motivazioni di decine di sentenze in processi finiti con il riconoscimento del delitto di associazione per delinquere – viene esclusa la mafiosità sulla base del luogo comune, sempre affermato, ma mai dimostrato, che sarebbe assente la piaga dell’omertà.

E Michele Senese, nella Capitale, fa o ‘re.