Cultura

Lo stereotipo della sinistra che ha a cuore la cultura

Museo Martinitt e Stelline di MilanoGli stereotipi fanno ubriacare. L’ho scoperto visitando un museo. Dopo 18 anni il 31 maggio 2011 la sinistra ritorna al potere a Milano. I dipendenti del Museo ‘Martinitt e Stelline’ stappano una bottiglia di champagne: “adesso potremo fare ricerca, ampliare le sale, sviluppare il multimediale”, sognano. E invece 4 dipendenti su 6 quello champagne lo hanno bevuto per ubriacarsi e provare a dimenticare il licenziamento deciso dal consiglio di amministrazione nominato dal sindaco Giuliano Pisapia. 
Lo stereotipo è questo: la sinistra ha a cuore la cultura. Confutato da questa domanda: perché allora ha condannato a morte l’unico museo del welfare presente in Lombardia? L’unico presidio culturale che racconta la città di Milano non basandosi sui bollettini ufficiali del potente di turno, ma attraverso la voce e il sudore di chi la abita.
 
In dialetto milanese i martinitt sono gli orfanelli e le stelline le orfanelle. Dal ‘500 in poi c’è chi si prende cura di loro togliendoli dalla strada e istruendoli a un mestiere, così da poter, grazie al lavoro, farsi una vita al di fuori dell’orfanotrofio. Le industrie Campari e Fernet Branca, per esempio, stipulano accordi di apprendistato con la direzione dell’Istituto con l’obiettivo di assumerli. Così, l’archivio del ‘Martinitt e Stelline’ non racconta solo la storia popolare della città ma anche, attraverso foto, documenti e planimetrie, la storia del capitalismo italiano. Gli orfani inoltre contribuiscono all’Unità d’Italia partecipando attivamente alle guerre d’indipendenza. Visitare il museo significa scoprire tutto ciò e far rivivere il tessuto della Milano più bella, quella capitale morale che ha primeggiato in Europa per solidarietà e beneficenza. Una eredità che adesso si vuole cancellare, spostare in una cantina di periferia.
 
I nuovi amministratori, che devono far dimenticare la gestione allegra e scandalosa dei loro predecessori, non hanno scrupoli: tagliati 4 posti di lavoro su 6 (ma con la cultura non si doveva mangiare?), azzerati i fondi per la manutenzione, deciso lo spostamento del museo ad altra sede così da vendere l’intero palazzo dove oggi è ubicato. Far cassa ai danni della cultura. Una agonia che imbarazza persino i visitatori che, oggi, durante la visita trovano proiettori spenti e fili che penzolano dal soffitto. E’ questo il trattamento riservato alla memoria che crea rispetto e civismo? Anziché brandire in ogni campagna elettorale la spada della cultura con parole tronfie, i politici di sinistra facciano qualcosa di concreto e salvino questo museo. E se essi, come Ponzio Pilato, dovessero lavarsene le mani rispondendo che queste decisioni le prendono i tecnici (i membri del cda dell’Istituto) ricordiamogli pure che, così come per il governo Monti, sono i politici a nominare i tecnici. Sempre i politici che possono mandarli a casa. Se vogliono.