Cultura

Guido Catalano, l’amore con la “a” minuscola

Guido Catalano, "Piuttosto che morire m'ammazzo"È laureato in Storia del Cinema ma non entra in una sala cinematografica da più di due anni. È stato portiere in un residence, poi si è fatto licenziare e si è messo a fare il poeta a tempo pieno. Ora Guido Catalano, torinese, barbuto e con poche “erre” sulla lingua, tiene oltre 200 reading all’anno in giro per Italia, ha pubblicato sei libri e da qualche settimana è poeta di condominio sul terrazzo di “Celi mio marito”, preserale di Raitre condotto da Lia Celi. L’abbiamo incontrato una domenica pomeriggio, a Roma, e con lui abbiamo parlato di succhi di frutta all’arancia, di insetti e di poesia d’amore. Perché la barba, si sa, è imprescindibilmente segno di romanticismo, così come Roma e le domeniche pomeriggio.  

Non spaventi il titolo del suo ultimo libro, “Piuttosto che morire m’ammazzo” (Miraggi Edizioni, 160 pagg.): dentro si alternano cani volanti, “malincogatti” e cappelli da cowboy ma soprattutto, scrive l’autore nella premessa, “una quantità d’amore, che non si capisce come sia possibile per un solo uomo”. “È vero, c’è la morte nel titolo – spiega Catalano in persona – ma nel volume è il sentimento a farla da padrone, molto più che nel libro precedente (“Ti amo ma posso spiegarti“, ndr). Qui mi occupo soprattutto di storie di fine rapporto, di ‘lasciamento’. Nella lirica da cui è tratto il titolo ho messo molti concetti strani disposti a incastro. Tutti autobiografici: ad esempio è vero che da quando ho smesso di guardare la tele sono molto più attivo sessualmente”.

Catalano racconta l’amore con la “a” minuscola, quello prima di andare a dormire, quello delle fantasie, delle storie finite o solo immaginate. I versi scivolano con leggerezza, catturano il lettore, lo fanno ridere e innamorare ma nel finale spesso si infrangono su uno scoglio di malinconia e freddezza. Le sue muse sono ragazze che “raccolgono ciliegie” o che “mettono ad asciugare noci sul davanzale”; ognuna porta con sé un dettaglio, una sfumatura di una donna amata o anche solo conosciuta: “Sono misti di donne vere. Tendenzialmente non mi invento quasi nulla”, ci assicura l’autore. 

Nel lessico amoroso di Catalano trovano spazio espressioni non propriamente “stilnovistiche” quali “fucile a pompa”, “sfracellare”, “camion dello spurgo pozzi”: “Quando facevo il portiere, ho scoperto l’importanza del camion dello spurgo pozzi. Non credo che per far poesia sia obbligatorio servirsi di una terminologia classica: quando scrivo uso termini del parlato, anche le parolacce, ma non per questo sono un cabarettista”. Esemplare a questo proposito la spiegazione del problema contenuta in una delle sue liriche più famose: “I poeti non mi considerano un poeta ma un cabarettista/ i cabarettisti non mi considerano un cabarettista ma un poeta/ gli elettricisti non mi considerano un elettricista e fanno bene”.

Guido Catalano non è un comico, non è un elettricista ma neppure un vate: dal suo repertorio mancano liriche “d’impegno”, la sua ispirazione è l’animo umano: “Non sono un poeta civile, sono un poeta penale. Per lo più parlo di me e degli altri e la forza di questi componimenti è che la gente si identifica. Con i miei spettacoli, porto in giro per l’Italia musica e poesia. E in questo sono ipercivile”. Nei suoi progetti c’è anche la prosa, “un romanzo – ci dice – con una grossa casa editrice”.