Cinema

Cannes 2013, “Only God Forgives”: dopo Drive Refn racconta la vendetta

"Volevo fare un film su un uomo deciso ad affrontare Dio. E, in seconda battuta, sul rapporto tra una madre e un figlio”, spiega il regista, che aveva concepito il progetto prima della pellicola che vinse il premio alla regia, in un momento difficile della vita privata, denso di violenza inespressa. Essa ha trovato sfogo totale in un film: la disumanizzazione come mezzo per una vita “altra”

Un atto di fede. Prendere o lasciare. Per questo Nicolas Winding Refn è considerato un regista cult. Un autore capace di mutare (restando se stesso) e creare mutanti, rigorosi negli estremi, tra violenze disumane e lirici silenzi. Col suo Only God Forgives (Solo dio perdona, titolo italiano che accompagnerà l’uscita nazionale dal 30/5) è riuscito a spezzare la critica affollata al 66° Cannes, con una leggera sovrabbondanza di delusi, persino arrabbiati, specie tra chi del regista è cultore assoluto o chi – conoscendolo meno – si aspettava un sequel di Drive. Perché se Dio perdona, il 43enne cineasta danese non concede attenuanti agli sguardi superficiali di spettatori pavidi: “meglio che evitino il mio cinema”.

Il suo nono lungometraggio (e secondo selezionato in concorso sulla Croisette dopo Drive, premio alla regia 2011) si consuma a Bangkok come la drammatica vicenda di Julian, un giovane americano (Ryan Gosling) deciso a vendicare il fratello ucciso in quanto – a sua volta – omicida di una prostituta minorenne. Il gesto di “giustizia” è compiuto da un poliziotto tailandese (Vithaya Pansringarm), implacabile e potente come un dio terreno. Motore oscuro e macchiavellico della storia è Christal (Kristin Scott Thomas trasfigurata in lunghi capelli biondi), la diabolica madre di Julian verso il quale prova solo disprezzo. Una tragica dark lady classicamente concepita.

“Volevo fare un film su un uomo deciso ad affrontare Dio. E, in seconda battuta, sul rapporto tra una madre e un figlio”, spiega NW Refn, che aveva concepito il progetto prima di Drive, in un momento difficile della vita privata, denso di violenza inespressa. Essa ha trovato sfogo totale in un film a senso unico: la disumanizzazione come mezzo per una vita “altra”. Emblematica la scena del Figlio che penetra con la mano l’utero del cadavere materno al fine di riappropriarsi di se stesso, e prepararsi al sacrificio espiatorio di una spirale di dolore. Dietro al concetto su cui il film s’imbastisce c’è una mente, anzi un vero e proprio maestro per Winding Refn: Alejandro Jodorowsky a cui Only God Forgives è dedicato. “Alejandro mi ha sostenuto quando volevo cambiare ma non sapevo come e cosa”. Il risultato è stato questo lavoro, nutrito di sospensioni liriche, dialoghi rarefatti, colonna musicale straordinaria (firmata da Cliff Martinez, ex batterita Red Hot Chilly Peppers e autore di soundtrack per film come Spring Breakers, Contagion.., suo “litigioso” compagno di viaggio già per Drive) in costante sotto/soprafondo. La violenza è manifesta nella misura in cui è “segno” della filmografia di quest’autore, che considera l’arte stessa un atto di violenza, una penetrazione sessuale. “Se l’atto creativo non mi eccita, lo lascio perdere. Io non sono un violento, ma sono affascinato dalle emozioni violente”.

Con le sue atmosfere ipnotizzanti lungo labirintici corridoi rossi, le alternanze di rallentamento/accelerazione improvvise, i tagli di luce, l’estetizzazione al limite del sopportabile, l’ossessione per la profanazione del sacro, e dunque la complessiva rievocazione degli “assorbiti” David Lynch e Wong Kar Wai (solo per fare alcuni nomi della sterminata cine cultura di NWR) Only God Forgives è, in ultima analisi, l’immaginifica e coraggiosa sfida di un “provocatore” al suo pubblico: “con me o contro di me”.