Economia & Lobby

Imprese, il vero problema? Il capitale

Il problema strutturale delle imprese italiane non è tanto la mancanza di credito, quanto la carenza di capitali. Il settore assicurativo ha i capitali e spesso anche le competenze necessarie per la valutazione della qualità dei crediti societari. Perché non favorire un suo maggiore intervento?

di Massimo Bordignon* e Rony Hamaui** (lavoce.info)

Il problema delle imprese

La crisi che attanaglia il paese è la più profonda e la più lunga dalla fine della seconda guerra mondiale in poi. Le politiche restrittive di bilancio e la crisi di fiducia derivante dai rischi dell’area euro sono state tra le cause scatenanti, ma non c’è dubbio che le crescenti difficoltà di accesso al credito da parte delle imprese, soprattutto di piccole e medie dimensioni, ha dapprima aggravato la crisi e ora ne rende più lunga e difficile l’uscita. Non è dunque sorprendente che si moltiplichino le proposte tese a render più facile l’accesso al credito alle imprese, come elemento fondamentale di una strategia di ripresa economica. Per esempio, in sede italiana come europea si discute in modo sempre più intenso di riattivare il mercato delle cartolizzazioni, liberando i bilanci delle banche dai crediti più rischiosi, o di sviluppare fondi di credito a sostegno delle imprese.
Nel breve periodo, è possibile che l’utilizzo di queste strategie sia inevitabile, nonostante i ben noti rischi associati alle asset backed securization. Ma è opportuno sottolineare che il problema strutturale delle imprese italiane, più che la mancanza di credito, è la carenza di capitaliDunque, ogni sforzo anche nel breve periodo deve essere destinato a superare questo problema.

Capital crunch

I numeri e le tabelle che seguono, riprese dalla Banca d’Italia, illustrano bene il problema. Negli ultimi quindici anni il rapporto tra debiti finanziari e valore aggiunto delle imprese italiane è passato dal 100 al 180 per cento. Anche il loro leverage (pari al rapporto tra i debiti finanziari e la somma di questi ultimi e del patrimonio netto) ha sfiorato un massimo storico del 50 per cento. Le imprese più piccole sono le più indebitate con una leva che supera abbondantemente il 60 per cento. Anche in una prospettiva europea emerge come le imprese italiane abbiano una struttura finanziaria più orientata al debito, soprattutto bancario, e risultino poco patrimonializzate.

In una situazione già compromessa, la lunga e prolungata recessione ha amplificato i problemi, riducendo la redditività delle imprese e aumentandone gli oneri finanziari. Il margine operativo lordo (Mol) delle imprese in rapporto al valore aggiunto è sceso al 32 per cento, con cali ancora più vistosi per quelle di minori dimensioni e più legate al mercato domestico, intaccandone la capacità di autofinanziamento e in molti casi anche il patrimonio. Le imprese italiane, soprattutto di piccole dimensioni, appaiono sempre più indebitate e incapaci di servire il debito. Da qui l’esplosione delle procedure fallimentari, concordati di ogni genere e chiusure. In queste condizioni, il de-leveraging è per certi aspetti fisiologico.

Come ne usciamo

Nel medio-lungo periodo, la soluzione può essere trovata solo sviluppando tutti i modi possibili per far affluire capitale di rischio alle imprese. Per esempio, nel solco delle politiche già iniziate dal Governo Monti, rafforzando gli incentivi fiscali già introdotti all’accumulazione di capitali (come l’Ace) e sviluppando ulteriormente tutti i meccanismi che consentano al risparmio di arrivare direttamente alle imprese, saltando l’intermediazione bancaria (come i mini bond, le obbligazioni societarie, i fondi di private equity, e così via)(1).
Ma queste sono soluzioni di medio-lungo periodo; resta sempre il problema di come affrontare l’emergenza. Il principale strumento finanziario proposto, le cartolarizzazioni, hanno il problema di servire a poco se la qualità degli asset sottostanti non è buona: l’esperienza dei mutui sub-prime insegna. Non a caso gli Abs (assets back securities), che sono già stanziabili presso la Bce (seppure nella forma pro solvendo, in cui le banche si pongono a garanzia del rischio di credito), ricevono tipicamente un hair-cut altissimo, a testimonianza della rischiosità percepita dagli operatori su questi strumenti. (2) Alla radice delle difficoltà, c’è anche il problema della corretta valutazione del rischio da parte degli operatori che dovrebbero acquistare le tranche di credito dalle banche.

Una proposta alternativa

Se il problema di fondo è la carenza di capitali, piuttosto che di credito, è necessario immaginare soluzioni che anche nel breve periodo consentano di utilizzare il capitale che già esiste. Ad esempio, si potrebbe prefigurare un maggior intervento del settore assicurativo, che non solo possiede i capitali, ma che in molti casi ha anche le competenze necessarie per la valutazione della qualità dei crediti societari. In Italia, la Sace, una controllata dalla Cassa depositi e prestiti che tradizionalmente assicura i crediti esteri, potrebbe dare un importante contributo, assicurando anche i crediti concessi dalle banche, in linea con quanto fanno analoghe agenzie nei paesi europei. E in effetti, esistono già esperienze internazionali, e a livello di singole regioni italiane, che mostrano come programmi digaranzie al credito per le piccole e medie imprese generino effetti positivi sia a livello di disponibilità del credito che del suo costo. E questo senza provocare grossi problemi di azzardo morale, cioè senza generare un maggior numero di default(3)
Una condizione perché questi interventi funzionino è che la Banca d’Italia accetti di considerare le garanzie assicurative al pari di quelle bancarie. Ciò consentirebbe di ridurre gli assorbimenti di capitale imposti alle banche per la concessione dei prestiti. A sua volta, il maggior capitale permetterebbe alle banche di aumentare il volume dei prestiti alle imprese. Si otterrebbe cioè lo stesso obiettivo perseguito con le cartolarizzazioni, introducendo però minori rischi nel sistema.

 (1) Il rapporto curato dal forum “Idee per la crescita”, scaricabile dal sito www.ideeperlacrescita.it, discute in dettaglio numerose proposte in questa direzione.
(2) A questo proposito vale la pena ricordare che persino la Fed, quando mise in opera il programma Talf (Term Asset-Backed Securities Loan Facility), acquistò in pro-soluto solo le trance migliori dei portafogli Abs, lasciando alle banche il rischio più junior.
(3) Alessio D’Ignazio and Carlo Menon, (2013), “The causal effect of credit guarantees for SMEs: evidence from Italy”, Banca d’Italia Temi di Discussione, n. 900. Si veda anche Hancock, D., Peek, J. and Wilcox, J. (2007), “The repercussions on small banks and small business of bank capital and loan guarantees”, Working Paper 07-22, Wharton University.

*Massimo Bordignon: Si è laureato in Filosofia a Firenze e ha svolto studi di economia nel Regno Unito (MA, Essex; PhD, Warwick). Si occupa prevalentemente di temi di economia pubblica. Ha insegnato nelle Università di Birmingham, Bergamo, Brescia, Venezia e all’Universita Cattolica di Milano. Attualmente è professore ordinario di Scienza delle Finanze presso quest’ultima Università, dove dirige anche l’Istituto di Economia e Finanza e la Doctoral School in Public Economics. Ha svolto e svolge tuttora attività di consulenza per enti pubblici nazionali e internazionali ed è stato membro di numerose commissioni governative, compresa la Commissione sulla Finanza Pubblica presso il Ministero del Tesoro nel 2007-8.

**Rony Hamaui: Laureato all’Università Commerciale L. Bocconi e Msc. alla London School of Economics. E’ Amministratore Delegato di Mediofactoring e professore a contratto presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Ha ricoperto numerosi incarichi presso il gruppo Intesa Sanpaolo; e’ stato responsabile del Servizio studi della Banca Commerciale Italiana nonché professore a contratto presso l’ Università di Bergamo e l’ Università Bocconi. Ha lavorato presso l’Istituto per la Ricerca Sociale. è autore di numerosi articoli scientifici e ha scritto e curato diversi libri riguardanti gli intermediari, i mercati finanziari internazionali e lo sviluppo economico finanziario nei paesi arabi.