Diritti

Nozze gay, tribunale Milano al Comune: “Riconoscere unione contratta a Londra”

Cristian e Federico si sono uniti a Londra il 5 giugno del 2010. Ora i giudici del capoluogo lombardo ha stabilito per la prima volta nella storia italiana che la loro "civil partnership" deve essere trascritta nel Registro voluto nel 2012 dal sindaco Giuliano Pisapia. "Questa è pura normalità, è il modo in cui vivono migliaia di coppie italiane che vogliono diritti e doveri riconosciuti dallo Stato"

“Ora vogliamo arrivare all’equiparazione con il matrimonio. Lui è mio marito. E vogliamo andare avanti”. Federico G., un esperto di software, è riuscito a portare avanti, insieme al partner Cristian F., biologo, la sua battaglia. Così, per la prima volta nella storia italiana, un tribunale ha riconosciuto una unione civile fra persone dello stesso sesso contratta all’estero, precisamente a Londra, il 5 giugno del 2010. Il tribunale civile di Milano ha infatti stabilito che la loro civil partnership può essere trascritta nel Registro delle unioni civili del capoluogo lombardo, voluto l’anno scorso dal sindaco Giuliano Pisapia. “Mi piacerebbe – spiega ora a ilfattoquotidiano.it Federico – che notizie come questa servano a farci capire che questa è pura normalità, che questo è il modo in cui vivono migliaia di coppie italiane che vogliono diritti e doveri riconosciuti dallo Stato. A noi sono bastate 60 sterline per sposarci nel Regno Unito. Ci siamo uniti al Globe, il teatro di Shakespeare sul Tamigi, davanti a settanta fra parenti e amici. È stato un giorno bellissimo e ora posso finalmente dire che ne è proprio valsa la pena”.

Persino la stampa internazionale, ora, riporta la notizia, sottolineando come la sentenza del tribunale di Milano abbia fatto “la storia”. Federico racconta come è avvenuto il tutto: “Ci è bastato prendere una residenza temporanea nel Regno Unito e per portare avanti la pratica ci è voluto un anno. Una volta contratta la civil partnership, siamo tornati in Italia, dove abbiamo conosciuto un avvocato che si occupa di tali questioni, Marilisa D’Amico, che è anche consigliere comunale a Milano. Così abbiamo deciso di portare avanti una causa per il riconoscimento, cosa che abbiamo ottenuto, ma ora non vogliamo fermarci. La burocrazia a Londra non è stata una cosa di poco conto, ma una volta che si è abituati a quella italiana tutto fila liscio. Così ora non ci spaventano nemmeno ulteriori passaggi in tribunale”.

L’avvocato D’Amico, che è anche docente all’Università di Milano, spiega a ilfattoquotidiano.it: “Al momento io e il mio collega Massimo Clara stiamo seguendo ben venti coppie che vogliono intraprendere lo stesso percorso, e cioè la trascrizione all’anagrafe. Molte di queste coppie non escludono nemmeno un ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo, nel caso le corti italiane non dovessero riconoscere quanto richiesto. In aiuto viene la sentenza della Cassazione dello scorso anno, che pur non consentendo la trascrizione all’anagrafe di un matrimonio contratto all’estero, ha spinto verso un riconoscimento delle coppie gay”.

Ma qual è la vera novità del caso di Cristian e Federico? “Per la prima volta – continua D’Amico – in Italia è stata registrata una unione contratta all’estero proprio come tale. Cioè nel Registro milanese delle unioni civili c’è scritto chiaramente che questa è una partnership londinese. Quello che cambia per loro è che ora potranno accedere al welfare locale, concorrere alle graduatorie per le case e per il complesso dei servizi sociali. Così, allo stesso modo, potranno assistere il partner in ospedale, purché sia una struttura nel territorio di Milano. Tutte cose non garantite dalla legge italiana, ma il Registro serve proprio a questo”. Una speranza? “Che la giurisprudenza italiana riconosca finalmente che l’Italia non è uno Stato separato, ma che è pienamente in Europa. Così dovrebbero essere rispettate le varie pronunce e sentenze a livello comunitario”.

Intanto Cristian e Federico già pensano a un prossimo passo. “Ci piacerebbe avere dei figli, perché no”, dice Federico. “Ma il tutto deve avvenire alla luce del sole, nel rispetto di una legge che verrà, non vogliamo ricorrere a sotterfugi che pur già sono disponibili. Certo, non so se la mia generazione vedrà mai…”. E si blocca così.