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Jolly Nero, la “maledizione” della Messina: 30 anni di ombre, misteri e incidenti

Le "disavventure" della compagnia di navigazione della nave finita contro la torre dei piloti a Genova. Dal "Rosso" coinvolto in diverse inchieste sui presunti traffici di rifiuti tossici fino ai salvataggi rocamboleschi in Egitto e in Sud Africa. Poi gli scontri (con 3 morti) con due pescherecci: due in 8 anni, a Piombino e Ischia

L’ombra più nera è quella delle “navi a perdere”, le carrette del mare che la ‘ndrangheta avrebbe affondato con le stive piene di scorie tossiche davanti alle coste calabresi. Non è la prima volta, insomma, che la parola Jolly e il nome della compagnia Messina si colora di tinte fosche. Una striscia di disgrazie e punti oscuri che sembra aver seguito la storia degli ultimi trent’anni della compagnia. Dal Jolly Rosso, coinvolto nelle inchieste sui rifiuti e che poi si arenò a Cetraro dopo un abbandono nave rocambolesco, fino agli incidenti – in ordine sparso – del Jolly Blu, del Jolly Grigio, del Jolly Amaranto, del Jolly Rubino, del Jolly Marrone. La flotta dei Messina attualmente è composta da 14 navi, tutte specializzate in “ro-ro”, in sostanza cargo portacontainer. Il nome Jolly, tuttavia, deriva proprio dalla loro flessibilità sul tipo di merci che possono imbarcare. Il precedente più simile, per dinamica, a quanto accaduto la notte scorsa è quello che ricorda il quotidiano genovese Secolo XIX. Il Jolly Verde (portacontainer da 30mila tonnellate), il 16 ottobre 2002, sperona Ponte Libia e abbatte una gru “pacheco” alta oltre 40 metri. Fosse successo di giorno, sarebbe stata un’altra tragedia.

La Jolly Rosso, la nave arenata con segreti e misteri
Il capitolo più inquietante resta quello della Jolly Rosso. Era un cargo, poi fu trasformata in una nave che nel 1988 aveva trasportato per conto del governo, tra il Libano e l’Italia, migliaia di fusti di rifiuti tossici. La storia della “Rosso” (quando cambiò destinazione d’uso, perse infatti il nome Jolly) finì in modo avventuroso quanto gli ultimi anni della sua esistenza. Si arenò alla fine del 1990 sulla spiaggia di Formiciche, ad Amantea (in provincia di Cosenza). Aveva navigato davanti alla costa per ore, alla deriva, dopo che l’equipaggio aveva abbandonato la nave che aveva imbarcato acqua attraverso diverse falle nello scafo e si trovava in assetto completamente scompensato. Ufficiali ed equipaggio furono soccorsi dalla Guardia Costiera. Secondo i documenti ufficiali a bordo della Rosso si trovava merce normale (generi di consumo e tabacco).

Ma secondo alcune ricostruzioni giornalistiche e alcune ipotesi di indagini in realtà la Rosso era ancora impegnata in traffici illeciti. Furono aperte e chiuse tre inchieste, finite tutte con l’archiviazione. Non è mai stato chiarito cosa trasportasse effettivamente, sulle falle misteriose, sui tecnici olandesi ingaggiati e poi allontanati, sui rifiuti trasferiti dalla stiva ad alcune discariche calabresi, sulle migliaia di rifiuti tossici e radioattivi trovati nel fiume Olivo, non lontano dalla spiaggia dove finì la sua corsa la Rosso che – per ordine della Procura – fu demolita sul posto.

Una vicenda che inizia alla fine degli anni Ottanta, dunque, ma che mostra le sue propaggini arrivano fino quasi ai nostri giorni. E’ delle ultime settimane, infatti, la notizia della richiesta di archiviazione della Procura di Nocera Inferiore sulla morte del capitano Natale De Grazia, l’ufficiale della Capitaneria di porto che morì nella notte tra il 12 e il 13 dicembre 1995, a 38 anni, ufficialmente per un attacco cardiaco, anche se era in ottima salute. De Grazia faceva parte del pool che indagava sulle “navi dei veleni”: seguiva una pista che lo aveva portato a sfiorare altri intrighi, come la morte in Somalia della giornalista Rai Ilaria Alpi e del suo operatore Miran Hrovatin, e il ruolo di un faccendiere, in odore di P2, capace di muoversi tra Governi e armatori internazionali. Secondo l’ex pm di Reggio Francesco Neri De Grazia fu avvelenato. Alla stessa conclusione, anche se si espresse con parole diverse (“Cause tossiche”), arrivò l’ex presidente della Commissione parlamentare sul ciclo dei rifiuti Gaetano Pecorella. Per contro c’è chi continua a sostenere che le “navi dei veleni” non sono mai esistite, puntando soprattutto sulle contraddizioni del pentito di ‘ndrangheta (e una delle principali fonti per gli investigatori), Francesco Fonti.

Le armi pesanti sequestrate, gli incidenti all’estero
Una delle prime tracce delle “disavventure” della Messina risale al 1990. I carabinieri nel maggio di quell’anno sequestrarono in tutta Italia componenti di armi pesanti diretti in Iraq e sarebbero serviti al governo locale per realizzare una “batteria” di “supercannoni”. Inutile aggiungere che ci si trovava nel pieno della prima guerra del Golfo. Ebbene, in Iraq, secondo l’ipotesi degli inquirenti, quei componenti sarebbero dovuti arrivare a bordo della Jolly Turchese.

Uno degli ultimi episodi finiti nelle cronache internazionali è invece datato 2010. La Jolly Amaranto navigava nel Mediterraneo con un carico di merci pericolose e fu costretta ad inviare un sos alle autorità egiziane dopo un’avaria al motore e la perdita di almeno 8 container: la nave restò infatti in balia del mare molto mosso per ore.

Non era il primo incidente lontano dalle coste italiane per le navi della Messina. Nel settembre 2002 la Jolly Rubino si trovò arenato sulla costa nord est del Sud Africa: anche qui l’equipaggio (22 persone) dovette abbandonare in tutta fretta la nave, anche perché a bordo era scoppiato un incendio. L’incidente avvenne vicino a una riserva naturale e scattarono anche tutte le procedure per evitare rischi di inquinamento ambientale.

Gli scontri in mare e gli incidenti sul lavoro
E ancora: gli scontri in mare. Se ne ricordano due. Al largo di Ischia il Jolly Grigio, nell’agosto del 2011, entrò in rotta di collisione con un peschereccio, il Giovanni Padre. Morirono due persone. Furono arrestati il timoniere e il terzo ufficiale del Jolly Grigio perché fornirono agli inquirenti poi smentita dalla scatola nera: “C…, li abbiamo presi” si sentì dire nelle registrazioni di bordo, come rivelò Il Mattino.

Altra croce al largo di Piombino. Nel 2003 il Jolly Blu travolse il peschereccio San Mauro I (partito da Livorno) che affondò: perse la vita una delle persone a bordo. In 4 finirono a processo per naufragio colposo e omicidio colposo.

Infine gli incidenti sul lavoro. Tre mortali negli ultimi 15 anni, tutti a Genova: a bordo della Jolly Marrone, della Jolly Blu e della Jolly Rosso. Su quest’ultima (solo omonima della “nave dei veleni” che era stata ormai demolita) nel 1999 una sorta di carrucola da un quintale schizzò come un proiettile e decapitò un mozzo, mentre un ufficiale fu colpito al fianco da una frustata mortale di un grosso cavo di ormeggio.