Società

Cori razzisti: arbitri come il palo della banda dell’Ortica

Dopo una serie di post dedicati ad argomenti seri e dai toni un po’ accesi, mi dedico a una cosa più leggera e frivola, una storia di canzoni e di pallone. Per tutti quelli che, come me, sono ancora addolorati per la morte di Jannacci, è consolante vedere come i suoi personaggi siano invece sempre presenti tra noi. Domenica scorsa abbiamo visto all’opera il famoso palo della banda dell’Ortica. Ricordate quello che faceva il palo con “passione e sentiment”, faceva il palo – direbbe un giornalista che scrive male – perché era nel suo Dna, cioè, come diceva semplicemente e più argutamente Jannacci “perché l’era el so’ mesté”? Ma aveva un problema: era così guercio che “a vederci, non vedeva un’autobotte e però a sentirci ghe sentiva un acident”.

Ecco, il palo della banda dell’Ortica si chiama Tagliavento e fa l’arbitro di calcio. Che non vedesse neppure un’autobotte lo sapevamo dall’anno scorso quando non vide un gol grosso, appunto, come un’autobotte, finito nella porta della Juventus, che costò al Milan (sì, sono milanista) un gruzzolo di punti decisivi per lo scudetto. Ma che non sentisse un accidente lo abbiamo costatato nella vicenda della squalifica di Balotelli, sanzionato per una frase irriguardosa ma per nulla tutelato dai cori razzisti rivoltigli durante la partita. Cori che innegabilmente ci sono stati, se hanno generato il solito buffetto di rimprovero alla Fiorentina, invece della sospensione della partita come si dovrebbe fare, ma come nessun arbitro vuole fare. E qui il discorso si fa serio.

La storia aveva avuto un’improvvisa svolta all’inizio dell’anno, quando nel corso di un’amichevole a Busto Arsizio, il Milan aveva lasciato il campo per protesta contro i “buu” rivolti a Boateng, nonostante anche quella volta l’arbitro avesse brillato per la sua ignavia, per la tendenza a minimizzare, a convincere tutti a non prendere le cose di punta. Ma che le cose non volessero andare avanti sulla strada giusta si era capito, poco tempo dopo, dall’episodio accaduto in una partita tra squadre giovanili nella bassa piemontese. Un ragazzo di colore della gloriosa squadra del Casale era stato espulso per aver aggredito in campo un avversario che gli aveva rivolto il solito insulto razzista. Poiché l’arbitro si era ben guardato dal sentire l’insulto e non aveva espulso anche il calciatore della Pro Patria, l’allenatore del Casale aveva ritirato la squadra.

Sapete come è finita questa storia, di cui nessuno più parla? Nessuna sanzione al calciatore della Pro Patria, partita persa al Casale e penalizzazione, squalifica del suo calciatore e più tardi allenatore licenziato dai suoi illuminati dirigenti. L’arbitro non so, probabilmente starà facendo carriera. Perché così va in Italia: negli stadi più maleducati del mondo, dove si assiste continuamente a cori e gesti di indiscutibile stampo razzista, non è mai stata sospesa una partita dagli arbitri, che di fronte ai “buu” e alle banane diventano tutti come il palo della banda dell’Ortica.