Politica

“Dialogo e confronto”, la marcia scomposta del Pd verso Berlusconi

Governissimo o esecutivo di scopo. Dialogo sulle riforme, dialogo su tutto o chiusura totale. Il partito democratico nell'angolo dopo il fallimento del tentativo di governo del segretario si divide. In molti, anche fedelissimi di Bersani, vogliono ora dialogare con Berlusconi. Speranza: "Voti di Berlusconi non sono di serie B"

Sono mesi che il Partito democratico non fa una segreteria. E nelle ultime due direzioni ha blindato all’unanimità una linea – quella del governo del “cambiamento” di Bersani – che ormai è abbondantemente superata dai fatti. Mentre il segretario si prepara all’incontro con Silvio Berlusconi giovedì, mentre Matteo Renzi scende in campo per la premiership con l’artiglieria pesante, Fabrizio Barca si mette a disposizione per la segreteria e i dirigenti del partito si lasciano andare a dichiarazioni più o meno controllate, più o meno strategiche sulle ineluttabili convergenze col Pdl, i Democratici parlano solo nelle proprie correnti, in incontri informali e caminetti ristretti. O sui giornali. Nessuna linea politica condivisa, nessun punto della situazione. Un Bersani sempre più isolato, “eroso” da sinistra e da destra, sta trattando per trovare un nome “condiviso” con il Pdl per il Colle. Né Bonino, né Prodi, ma una figura che possa andar giù a Berlusconi (un Amato, un D’Alema, un Marini). In modo da poter poi arrivare a formare un governo “col consenso” del Pdl. Sull’interpretazione e i confini di quest’operazione si gioca la battaglia interna.

Anche se, dicono le dichiarazioni dei fedelissimi riportate dai giornali, il segretario non sembra disposto ad arretrare dalla sua linea: no al governissimo. “Non mi preoccupo del partito – avrebbe detto Bersani secondo la ricostruzione di Repubblica – al momento giusto il partito c’è. E ci sarà anche questa volta”. Una linea che resiste, o almeno sembra resistere, anche nelle file dell’alleato Sel. Intervistato da Unità e Repubblica, Nichi Vendola sembra ancora crederci. “Non ci sono alternative a un governo Bersani – dice il governatore della Puglia – la nostra gente non capirebbe l’inciucio. La partita politica del centrosinistra è continuamente disturbata da un dissimulato congresso del Pd’’. Il leader di Sel boccia la proposta di dialogare con il centrodestra e si dice “deluso” da Matteo Renzi secondo il quale “oggi non è possibile fare altro che immaginare il governissimo con il Pdl o le elezioni anticipate, perché tertium non datur. Ora – aggiunge – siamo dinanzi alla doppia e più importante sfida: da un lato, consentire l’immediato inizio dei lavori parlamentari, e quindi bisogna far partire le commissioni alle Camere. Dall’altro lato, l’elezione del nuovo inquilino del Quirinale”, cui “dobbiamo avvicinarci con lo stesso spirito con cui è stata costruita l’operazione di grande pulizia che ha portato all’elezione di Laura Boldrini e Pietro Grasso”, afferma Vendola, che respinge l’idea di un Presidente “garante delle nomenklature”. Nelle interviste Vendola si dice pronto a un “rimescolamento” della sinistra. “ L’orizzonte – spiega – è il socialismo europeo. E una chiara volontà di uscire dal trentennio liberista”. Una ipotesi, a dire il vero, non necessariamente incompatibile con una scissione del Pd: da un lato la sinistra che potrebbe riaggregarsi con Sel. Dall’altro renziani ed ex Margherita, protesi verso un nuovo centro 

In attesa di ciò che ancora non c’è, tuttavia, la giornata di ieri segna un passo deciso verso Berlusconi. Artefice Dario Franceschini, che pur tra le righe manda a dire al segretario: senza un rapporto col Pdl non si va da nessuna parte; se lo fai tu, ti appoggio, se no sono pronto ad appoggiare qualcun altro, e magari a passare con Renzi. Le interviste che segnano la giornata di ieri sono due, una (smentita) di Rosy Bindi al Secolo XIX e una di Franceschini al Corriere della Sera. “Bersani tiene in ostaggio tutto il partito. Non sa più che fare, e il Pd è fermo senza prospettive” , le frasi della presidente democratica, riportate dal quotidiano genovese. Un attacco frontale, senza appello. Tanto che la Bindi si affretta a smentire: “Non c’è stato alcun colloquio con il Secolo XIX, le frasi virgolettate non sono mie”. Fornisce dettagli: “Sono stata fermata per strada da un signore che non ricordavo neppure fosse un giornalista, il quale mi ha subissato con le sue considerazioni e i suoi giudizi sulla situazione politica a cui non ho replicato”. “Smentita diplomatica”, replica il quotidiano: “Michele Fusco ha incontrato la presidente Bindi in via di Ripetta a Roma. Hanno scambiato una serie di considerazioni, alcune fatte dal giornalista, altre dall’esponente del Pd”. Controreplica la portavoce della Bindi: “Non c’è stato alcun colloquio, né nel senso etimologico della parola né in quello giornalistico”.

Un episodio che la dice lunga sulla confusione che regna nel Pd in questi giorni. E chiunque abbia incontrato la Bindi nelle ultime settimane ha notato un’aria non esattamente soddisfatta su come stanno andando le cose. L’intervista che agita le acque del partito è però quella di Franceschini. “Ci piaccia o no, gli italiani hanno scelto Berlusconi. È con lui che bisogna dialogare”. Per “un governo di transizione”. Per inciso, più o meno quello che vuole Renzi, che punta a un esecutivo breve in modo da potersi presentare al voto a ottobre. Non a caso, rispetto alle critiche al sindaco di Firenze, Franceschini chiarisce: “Chiusa la possibilità di un rapporto con Grillo, i numeri dicono che o si accetta un rapporto col Pdl, o non passerà nessun governo”. Entusiasmo nel Pdl, dalla Carfagna alla Santanchè. Per i bersaniani commento ufficiale affidato a Davide Zoggia, che si affretta a interpretare: “Bene Franceschini, no al governissimo”. Ma “dialogo e confronto”. Per dirla con Stefano Fassina: “Si lavora per il coinvolgimento del Pdl”.

In realtà, Franceschini si gioca la sua partita nel Pd e facendolo spinge il segretario a fare un altro passo verso Berlusconi, in un percorso che lui ha già segnato. Ma provando ad allargarne i confini. Magari anche fino alle larghe intese. E senza Bersani. “Se così fosse, ha cambiato idea”, chiosa Orfini, annunciando battaglia. Eppure, di intervista in intervista, il dialogo con il Popolo della Libertà è sempre meno ipotesi e sempre più realtà. Anche se i capigruppo – sempre via intervista – si affannano a trovare una mediazione linguistica che allontani la parola inciucio dall’udito degli elettori democratici. Così il presidente del gruppo al Senato Luigi Zanda, dalle colonne dell’Unità, cerca di gettare acqua sul fuoco. “Per cambiare la Costituzione – dice – così come per riforme di grande portata come la legge elettorale e la modifica dei regolamenti parlamentari, il dialogo tra sinistra, centro e destra è obbligatorio”, e per questo “Bersani ha offerto al Pdl la presidenza della Convenzione per le riforme”. Non ci sono – aggiunge – “grosse differenze tra Bersani e Franceschini, nonostante i tentativi di strumentalizzazione del Pdl. Spetterà al prossimo capo dello Stato, e alla personalità alla quale darà l’incarico, la responsabilità di dare soluzione al rebus governo”, rileva Zanda. Il nuovo Presidente “non potrà non tener conto delle forze parlamentari e del fatto che c’è un partito che ha la maggioranza assoluta alla Camera e quella relativa al Senato”.

Per Zanda “non possiamo prescindere da due dati oggettivi. Il primo è che alla Camera c’è una maggioranza certa e al Senato no. Il secondo è che se dovessimo tornare a votare si riproporrebbe l’attuale situazione di stallo”. “Tutta la fatica di Bersani ha avuto come stella polare l’obiettivo di evitare il voto. E’ il Pd nel suo complesso che non vuole tornare alle urne, perché sa che l’Italia potrebbe fare una brutta fine se imboccasse la strada di elezioni che seguono elezioni alle quali seguono altre elezioni. Noi – conclude – possiamo pensare di votare ancora solo se avremo una legge elettorale meno delinquenziale di quella attuale”.

Parla di “confronto con il Pdl” anche Roberto Speranza. Il capogruppo della Camera, bersaniano doc, sembra cercare di tenere insieme la linea del segretario con le aperture sempre meno timide dei suoi compagni di partito: “La legittimazione di Berlusconi – dice – arriva dai voti, i nostri non sono di serie A e i loro di serie B. Il tema del dialogo è fuori discussione, Bersani stesso si è detto disponibile a incontrare l’ex premier. Il punto è l’esito, la formula politica. Alla domanda di cambiamento emersa dal voto bisogna rispondere con una traiettoria adeguata, non con una formula sbagliata, di arroccamento contro le forze antisistema”.  Il risultato di questo dialogo dovrebbe, con ogni probabilità, assomigliare a un governo di scopo: “Non dobbiamo avere paura di confrontarci con gli altri, ma non significa fare un governo con ministri del Pd e del Pdl. La prospettiva non è una formula politicista come il governissimo, è quel governo di cambiamento di cui l’Italia ha bisogno”, afferma Speranza, secondo il quale l’esecutivo deve “contare in primis sulla forza parlamentare del centrosinistra ed essere capace di interpretare la domanda di cambiamento, anche oltre i confini del nostro schieramento. Quello che è chiaro – sottolinea – è che l’alternativa non può essere o voto anticipato o alleanza stretta tra Pd e Pdl”. Speranza smentisce anche il rischio di scissioni nel partito. “Oggi il tema non è il congresso e non sono le primarie per la premiership. Il punto è il governo. Le primarie – aggiunge – si fanno quando si vota, non quando si fa un governo”.

Il quadro di un partito in ordine sparso, tuttavia, non sarebbe completo senza la fotografia ironica di Renzi: “Le alternative sono tre: governo Pd-Pdl, Pd-M5S o elezioni. Il governo Pd-M5S, Grillo non vuole; le elezioni mi sa che non le vogliono in tanti. Su un governo Pd-Pdl staremo a vedere”. “Divisi si perde”, si intitolava l’editoriale della newsletter di Areadem a firma Roberto Cuillo di venerdì. Come dire: Bersani ha sbagliato ad attaccare in quel modo il sindaco di Firenze. Antonello Giacomelli, tra i suoi fedelissimi, chiarisce su Twitter: “L’intervista di Dario non divide, ma unisce il Pd”. A metà pomeriggio Silvio Berlusconi tira fuori le sue 8 idee per il governo: non sono certo gli 8 punti di Bersani. Tra l’altro c’è anche l’abolizione del finanziamento ai partiti, che ormai Bersani è l’unico a non chiedere, pur se ammette che va rivisto. Ma Franceschini lo prende sul serio e al Tg1 : “Sono idee da mettere sul piano del confronto, anche se c’è molta propaganda”.

Aggiornato da Redazione web alle 10.30 del 7 aprile 2013