Politica

23 marzo: la piazza e il governo, la rivolta e la “concordia”

Basta vedere come sono state  “riordinate”  in corso d’opera le priorità della manifestazione del Pdl organizzata da settimane con l’intento dichiarato di fare un replay popolare dell’adunata parlamentare antitoghe al palazzo di giustizia di Milano, per capire qual è lo scopo primo e ultimo del sostegno berlusconiano a qualsiasi possibile esecutivo.

Lo slogan di man in mano è diventato più “festoso” e apparentemente meno minaccioso  Tutti in piazza con Silvio” e “l’oppressione giudiziaria” è stata relegata all’ultimo posto dopo quella fiscale e burocratica.

L’accento si è tatticamente spostato su temi più economici e sociali, i toni brutali di una campagna elettorale esasperata all’insegna della ribellione di popolo contro l’odioso potere giudiziario che perseguita il capo buono e generoso sono appena più sfumati. 

Sullo sfondo, molto in lontananza ha fatto capolino anche l’intento propositivo “per una nuova Italia” così, tanto per compiacere Napolitano e la ricerca delle favolose larghe intese.

Mentre naturalmente Berlusconi, benché “rassicurato” sul suo determinante ruolo politico dal garante della Costituzione continua ad inveire contro “i magistrati che vogliono cambiare per via giudiziaria l’esito delle elezioni”. E naturalmente le finalità di delegittimazione ed intimidazione contro i singoli magistrati impegnati nei noti processi e contro un potere dello stato rimangono inalterate.

Se dunque la mega iniziativa di oggi, per la quale il Pdl  si è mobilitato ai massimi livelli con l’organizzazione di pullman (non del tutto riempiti), treni speciali da ogni dove e aereo dalla Sardegna a spese del partito, beneficiato con un bonifico da 15 milioni dal suo leader, viene in qualche modo ridisegnata ed enfatizzata al di sotto delle potenzialità, vuol dire che ne vale la pena.

A Berlusconi infatti che l’ipotetico nuovo governo si chiami governissimo, di emergenza, di salute pubblica, o come preferisce dire lui con un autentico colpo di genio, di “concordia nazionale” importa decisamente poco.

Come gli interessa in modo relativo chi lo possa guidare purché gli venga garantito che non si faccia sul serio riguardo il conflitto di interessi e che si operi alacremente sul fronte di un qualsivoglia salvacondotto o, nella deprecata ipotesi che arrivassero le temutissime sentenze, di una amnistia tout court.

La prima rassicurazione o “garanzia” è che venga stroncata sul nascere, come è buona prassi ventennale, la questione centrale e preliminare della sua ineleggibilità che 250mila cittadini hanno riportato all’ordine del giorno nel più totale silenzio mediatico e nell’indifferenza, se non nel fastidio, del Pd, oggi felicemente incrinati dalla presa di posizione del capogruppo al Senato Luigi Zanda. 

Sul mandato esplorativo a Bersani determinato a fare il suo giro Berlusconi ha chiosato “è chiaro che senza di noi è un salto nel buio” e Renzi ha ha concordato commentando “difficile dargli torto”.

Entrambi aspettano e confidano per motivi opposti e/o coincidenti che nell’arco di 5 giorni o anche meno si bruci il segretario che “ha inseguito troppo a lungo Grillo” e che, comprensibilmente quanto tardivamente, tenendo per una volta conto del suo elettorato vede un accordo con Berlusconi come l’ultima spiaggia, probabilmente quella da cui non si salpa più.

Questo 23 marzo in cui a Roma si materializzano le 2 piazze, quella di Silvio paladino della “concordia” in rivolta contro i magistrati per la sua impunità e quella dei cittadini che ne chiedono l’ ineleggibilità nel rispetto della legge, dovrebbe finalmente chiarire al Pd dopo vent’anni da quale parte stare.