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Bilancio Ue, le contraddizioni dei leader

Esiste un detto, in inglese, per esortare alla coerenza tra affermazioni ed azioni: put your actions where your mouth is. Forse in italiano corrisponderebbe – in negativo – al predicare bene e razzolare male. Leggendo le conclusioni del Consiglio europeo del 7-8 febbraio scorso sul bilancio UE 2014-2020 (tecnicamente il “quadro finanziario pluriannuale”) è la prima cosa che mi è venuta in mente.

Dopo un’introduzione a base di formulette vane (tipo: il bilancio deve servire a far uscire l’UE dalla crisi, deve stimolare la crescita e l’impiego, l’innovazione, la ricerca, eccetera eccetera) segue il primo taglio in termini reali del già microscopico bilancio dell’UE, con una distribuzione degli obiettivi di spesa che ricorda più gli anni ’50 che il ventunesimo secolo, e soprattutto con la bocciatura di tutte le proposte della Commissione per passare da un approccio intergovernativo (ogni Stato paga un tanto – e quindi si aspetta di ricevere altrettanto) ad uno più federale (con risorse proprie UE svincolate dai versamenti degli Stati).

Con un risultato del genere, si potrebbe immaginare che i 27 leader siano stati messi alla berlina dalla stampa dei loro Paesi. Macché: tutti esultanti, tutti contenti, tutti osannati: il miglior accordo possibile. Come mai? Semplice: più o meno ognuno ha avuto la garanzia di riportare a casa i soldi che mette nella cassa “comune”; chi con le politiche di coesione, chi con l’agricoltura, chi con “sconti” ad hoc sulla quota da pagare. Con buona pace della coerenza tra parole e azioni.

Un dato su tutti: da qui al 2020 il bilancio annuale dell’UE non potrà superare l’1% del prodotto interno lordo dell’UE stessa. Per fare un paragone, verso la fine degli anni ’30 il bilancio degli Stati Uniti era già oltre il 7% del PIL. Questa austerità comunitaria si fonda su una serie di luoghi comuni (leggi: menzogne passate per buone da tutti i mezzi di informazione). Primo: era giusto che “Bruxelles” facesse la sua parte, visto che i bilanci degli Stati si riducono. In realtà, 20 sui 27 bilanci nazionali sono in espansione. Secondo: finalmente sono state tagliate le ingenti spese di amministrazione di “Bruxelles”. In realtà, l’UE ha un’amministrazione molto più efficace (e staff molto meno pagato e peggio trattato) di molti Stati e di quasi tutte le organizzazioni internazionali. In totale, la spesa dell’amministrazione UE è pari a 8,3 miliardi di euro, quella dei 27 è pari a 2200 (duemiladuecento) miliardi di euro. Terzo: i soldi saranno spesi al livello dove fruttano di più (europeo, nazionale o regionale). In realtà, molti programmi che hanno dimostrato il loro valore aggiunto e la loro efficacia saranno tagliati drasticamente, riportando ancor più spesa a livello dei 27 con evidenti duplicazioni e perdite di sinergie.

Quando, in un precedente post, ho detto che l’UE è, dal punto di vista della sua natura giuridica, un’organizzazione internazionale come un’altra, molti lettori hanno reagito inorriditi: come si fa a dire una simile bestialità? Ebbene, questo Consiglio europeo ha dimostrato che è proprio così: sono i rappresentanti dei governi degli Stati membri, all’unanimità, a decidere quanti soldi possono essere spesi dall’UE per i prossimi sette anni. Certo, c’è ancora bisogno dell’assenso del Parlamento, ma tutto lascia pensare che, al momento della verità, il Parlamento si accontenterà di un po’ più di flessibilità tra i capitoli di spesa lasciando le cifre invariate.

Esiste un principio di base e di buon senso: si può, a parole, sostenere con fervore un progetto e indicare une visione per il futuro. Se però non si mettono sul tavolo i mezzi non si è credibili. Il collettivo dei nostri governanti, nonostante tutte le buone parole sul futuro dell’Europa, a mio avviso ha fallito la prova di credibilità.

Disclaimer: Come riportato nella bio, il contenuto di questo e degli altri articoli del mio blog è frutto di opinioni personali e non impegna in alcun modo la Commissione europea.