Politica

Lasciato lo smacchiatore, Bersani fa il politico

Ascoltando gli otto punti che Bersani ha esposto ieri come programma del governo che vorrebbe presiedere e sul quale presumibilmente chiederebbe la fiducia alle camere devo riconoscere che il salto di qualità politico rispetto all’intento di “smacchiare il giaguaro” è notevole.

Non ho la pretesa di pensare che Bersani abbia fatto propria l’opinione da me espressa nel mio post precedente, ma il suo programma va esattamente nella direzione che io avevo indicato come l’unica possibile per uscire dall’empasse e cioè di proporre un numero significativo di riforme largamente condivisibili e da farsi in tempo breve.

La ciliegina sulla torta di Bersani sarebbe stata una dichiarazione di intenti a mutare radicalmente nei prossimi dodici mesi le facce di coloro che gestiscono il Pd, ma per questo possiamo forse pazientare e aspettare una resa dei conti interna al partito, tra riformatori e conservatori.

Bersani è andato oltre le mie aspettative, indicando una rosa piuttosto ampia di interventi:

prima di tutto la volontà di ridiscutere le politiche europee di austerità estrema per negoziare tempi più ragionevoli per la riduzione del debito che resta comunque un obiettivo prioritario; qui Bersani ha anche indicato rischi per la democrazia rappresentativa derivanti dal prefiggersi obiettivi immediati in contrasto con il ciclo economico; mi pare una posizione estremamente ragionevole e che il successo elettorale di Alba Dorata in Grecia e lo stallo che stiamo sperimentando in Italia giustificano ampiamente.

Ha poi prospettato interventi sul mondo del lavoro e del welfare, a partire dal reddito di cittadinanza, che lui ha chiamato “universalizzazione dell’indennità di disoccupazione”, per proseguire con la dis-incentivazione del precariato, la riorganizzazione della Pubblica Amministrazione e interventi – non ancora definiti – sul problema esodati, tutte misure largamente necessarie.

Sul versante dei costi della politica la proposta include il taglio del 50% dei parlamentari, il taglio delle loro retribuzioni al livello di quelle dei sindaci, la eliminazione per via costituzionale delle province, una revisione dei modi di finanziamento pubblico ai partiti che incentivi il progresso verso strutture più rappresentative dei propri elettori, la riforma elettorale in senso maggioritario.

Corpose sono anche le idee in termini di legalità, con l’inasprimento delle norme sulla corruzione, la lotta alle frodi fiscali, la revisione delle norme sul falso in bilancio, da inasprire anch’esse e in termini di rappresentanza, con l’approvazione di una legge sul conflitto di interessi che preveda l’incandidabilità di coloro che potrebbero averne.

Infine: idee circa la riqualifica energetica degli edifici e la detraibilità delle spese finalizzate a ciò e una abbozzata visione di rovesciare la materia trattamento dei rifiuti da costo a ricavo, probabilmente attraverso un piano energetico che ne preveda l’uso.

Ultimi punti: interventi in materie civili, quale la istituzione dello ius soli e la legalizzazione delle coppie di fatto e l’impegno a esaurire le graduatorie dei precari nella scuola e a assumere ricercatori.

A parte l’ultimo punto che mi lascia perplesso se non si abbina l’esaurimento delle liste dei precari alla valutazione del merito e delle capacità di insegnare e al capire meglio che confini avrebbe la legalizzazione delle coppie di fatto – confesso la mia ignoranza relativamente alla legislazione tedesca citata da Bersani – mi pare un programma non solo completamente condivisibile ma anche – e qui è il salto politicamente qualitativo fatto da Bersani, rispecchiante la maggior parte delle istanze contenute nel programma elettorale del M5S.

Credo quindi che oggi Bersani abbia messo all’angolo il M5S, in quanto mi pare che un elettore di questo movimento avrebbe grandi difficoltà a comprendere come i propri rappresentanti potrebbero non aderire a questo programma e prendere il rischio di precipitare nuove elezioni dalle quali potrebbe scaturire un governo che facesse cose molto diverse.

Certo, Grillo potrebbe metterla sul piano personale ed esplicitare una mancanza di fiducia non nel programma, ma nelle persone e confesso di avere anch’io una certa sfiducia in alcuni politici; Grillo potrebbe persino chiedere per il M5S la presidenza del governo e forse il Presidente della Repubblica potrebbe persino dargli un mandato esplorativo, ma tutto dovrebbe comunque ruotare intorno al programma presentato da Bersani e comunque, metterla sul piano dei personalismi non credo sarebbe utile neppure per il M5S che comunque conserverebbe una forza d’urto nelle aule sufficiente a sorvegliare al meglio l’attuazione del programma.

Il programma di Bersani può essere attuato ragionevolmente in 12 – 18 mesi; credo che l’attuarlo effettivamente incontrerebbe la fiducia dei mercati e anche l’assenso dell’Europa, dato che quest’ultima ha iniziato a dare segni di maggiore elasticità almeno a parole, contemplando la possibilità che alcuni parametri di rigore, nei quali incapperebbe immediatamente la Francia, possano essere momentaneamente allentati in presenza di un  buon progetto a medio termine. L’attuazione del programma metterebbe anche con le spalle al muro il Pdl che sarebbe costantemente di fronte alla scelta di appoggiare le riforme oppure spiegare ai suoi elettori perché non lo fa e farebbe probabilmente tramontare in modo definitivo il progetto centrista foriero di disgrazie.

Sono convinto che l’uscita odierna di Bersani rappresenti la possibilità, forse unica, di evitare un periodo di instabilità con esito fortemente preoccupante in termini di democrazia e di stabilità sociale ed economica. La palla è ora principalmente nel campo di Grillo e dobbiamo porci come spettatori molto attenti a come la giocherà, dato che questo inciderà profondamente sui nostri destini.