Cronaca

Lucio Dalla poeta della solitudine, amato dagli amici

E’ passato un anno da quel triste primo marzo a Montreux che ha strappato Lucio Dalla alla vita.

Musicista, poeta, sperimentatore, anticonformista. Nella storia della canzone italiana non è facilmente collocabile. Certo, cantautore, già attivo negli anni Sessanta, ma rispetto a quella stagione e al decennio successivo non ha le stimmate dell’impegno e della denuncia sociale che caratterizza Francesco Guccini, Fabrizio De Andrè e gli esordi di Eugenio Finardi e di Edoardo Bennato.

Nei suoi testi c’è un riflesso autobiografico, una ricerca dell’io che lo avvicina a Roberto Vecchioni o a Francesco De Gregori, ma rispetto a loro Dalla è anche un musicista di prima grandezza, con le ricerche dei suoni che lo mettono un passo avanti (già in Com’è profondo il mare lavora sulla musica elettronica) e la sua ossessione, un po’ jazzistica, per i cambi di ritmo che, nel tempo, si riversa in cambi di genere. Musicista autodidatta, talento a orecchio, ha conosciuto inizi duri. A soli 21 anni, nel 1964, esordisce al Cantagiro, ma nel tour estivo dei cantanti spensierati (furoreggiano Gianni Morandi, Betty Curtis, Dino, Little Tony, Piero Focaccia) Dalla è percepito dal pubblico, in vena di svago, come un elemento estraneo (eppure canta una canzone melodica scritta da Gino Paoli), così barbuto e casual sembra un sovversivo e si prende anche la sua dose di fischi.

Tre anni dopo Dalla recita proprio quella parte nel film di esordio dei fratelli Taviani, I sovversivi, in un ruolo che gli si addice, quello del militante comunista anticonformista. Da ragazzo Lucio aveva frequentato gli ambienti della Fgci bolognese, rimanendo sempre lui, un po’ sui generis. Anche negli impegnati anni Settanta i riferimenti politici nelle sue canzoni sono quasi assenti, tranne qualche interessante eccezione. In uno dei suoi poco ricordati capolavori Disperato erotico stomp, scritta nel ’77, c’è tutta la guerra fra i generi, di un uomo vittima di una donna emancipata. Quel testo sembra proprio immaginare il privato di un uomo dietro allo slogan allora in voga fra le femministe più arrabbiate: maschio represso masturbati nel cesso. Lì c’è anche un riferimento ideologico compiaciuto: non so se hai presente una puttana ottimista e di sinistra / Non abbiamo fatto niente, ma sono rimasto solo, solo come un deficiente.

Costante dei suoi testi è proprio la solitudine, inguaribile e appena confortata dal lirismo contemplativo, un senso di abbandono provato con la prematura scomparsa del padre e il motivo 4 marzo 1943che lo consacra al successo – ne è un chiaro segnale, al tempo stesso, di ricerca e di perdita. Nel tempo Dalla declina la solitudine nei più diversi contesti: in Mela da scarto (parole di Roberto Roversi) è quella di un piccolo delinquentello piemontese, ne La casa in riva al mare, è quella di un detenuto che passa la sua vita in galera, fino alla morte, sognando di sposare Maria. C’è l’eroe solitario Nuvolari, il cantante scontento del suo ruolo nell’inutile ricerca della persona amata in Quale allegria o, ancora, l’artista che sente avvicinarsi la fine nella struggente Caruso o nell’autobiografica Born to be alone del 1999: qua Dalla torna sul padre perduto e sentenzia: nato per essere solo / solo in mezzo al cielo / solo come un Dio come solo è il barbone sotto le stelle in Piazza grande.

Chi ha conosciuto Dalla lo descrive come un arguto conversatore, capace di reggere con imprevedibile ironia i contraddittori, come già mostrava nello show giovanile di Renzo Arbore Speciale per voi. Tanti artisti devono a lui una parte del loro successo: Ron, gli Stadio, Samuele Bersani, Iskra Menarini per citarne solo alcuni. Non era invidioso, sapeva lavorare con gli altri e per gli altri, eccellenti le sue collaborazioni con Ron (autore di Attenti al lupo) e più tardi, con Samuele Bersani nell’album Canzoni del 1999. Non ha mai avuto la sindrome della prima donna, al termine del primo tour con De Gregori dichiarò: “abbiamo vissuto per mesi come fratelli”. Nota è anche la sua amicizia con Gianni Morandi che nella seconda metà degli anni Ottanta ha contribuito a rilanciare. Una persona graffiante anche nei confronti della sua città che amava con l’ironia e l’intelligenza critica che sfoggia in Dark Bologna, una delle sue ultime canzoni: Chissà se in questa strada si può entrare oppure no? / ah no, c’è Sirio, ma che due maroni / così cammino per la piazza con una merda sul paletot / ma perché anche col buio volano i piccioni?

Ci manchi, caro amico, perché non ci puoi più confortare per l’anno che verrà.