Società

Cardiochirurgia in Lombardia: siamo tutti malati di cuore?

Dopo la puntata di Report in cui fui intervistato per il mio lavoro sui controlli di appropriatezza sanitari mi fu recapitato, dall’autrice Margherita Ledis, un libro che narra il ‘travaglio’ di un paziente cardiochirurgico: By Pass, storia di un intervento.

Chiedo al dott. Marco Zanobini, cardiochirurgo presso il Centro Cardiologico Monzino di Milano, se è vero che in Lombardia ci sono più cardiochirurgie che in tutta la Francia: “Se consideriamo che in Lombardia vi sono 20 centri di cardiochirurgia mentre  nella regione francese dell’Ile de France ve ne sono 14,  con una popolazione residente superiore del 15%, possiamo senz’altro dire che in Lombardia ve ne sono troppi. Il dato attuale tiene conto di una programmazione sanitaria effettuata negli anni addietro non troppo illuminata: si decise allora, vista la richiesta immediata di prestazioni cardiochirurgiche che causava lunghe liste di attesa anche superiori ad un anno, di autorizzare l’apertura di un elevato numero di centri, soprattutto privati”.

Come si potrebbe risolvere, secondo te, il problema del sovra-numero dei centri in Lombardia? “E’ evidente che la presenza sul territorio lombardo di questa moltitudine di centri di cardiochirurgia rappresenta una dispersione di risorse. Sarebbe stato opportuno a suo tempo privilegiare lo sviluppo di pochi grandi centri di alta qualità ed alto volume di procedure, senza espandere il numero delle strutture, magari con piccola o medio-piccola attività, che riuscivano ad ottenere la convenzione con la regione: tale scelta avrebbe comportato una riduzione importante della spesa sanitaria e nel contempo un migliore risultato clinico per i pazienti. Credo che in Italia ed in Lombardia si dovrebbe, anche in sanità, ricominciare a recuperare il merito, inteso come qualità delle prestazioni sanitarie fornite premiando gli istituti ed i centri in cui l’organizzazione e l’impegno quotidiano di tutto il personale sanitario dimostra il raggiungimento di risultati clinici di standard internazionale”. 

Come si potrebbero evidenziare i centri che forniscono prestazioni di qualità internazionale? “Sappiamo bene che sia negli Stati Uniti che in altri Paesi Europei gli ospedali, pubblici e privati, sono obbligati per legge ogni anno a fornire un report relativo all’attività clinica dell’anno appena concluso: il ClinicalAudit. In pratica da questi report ciascun cittadino può vedere quanti pazienti affetti da ogni specifica patologia sono stati trattati in quella struttura, quali erano i rischi che i pazienti correvano per quella procedura, ed i risultati clinici, espressi sia in termine di mortalità che in termine di morbidità, cioè di complicanze. Il clinical audit oggi è uno strumento semplice, onesto e chiaro, da rendere obbligatorio, a “costo zero”, come chiaro indicatore della qualità di cura di ciascun centro”.

 Quale dovrebbe essere l’atteggiamento più etico nella cura della malattia cardiovascolare? “Si dovrebbe garantire l’accesso di tutta la popolazione ad un elevato standard di cura e al tempo stesso lo si dovrebbe consentire in tempi ragionevoli; mentre la riduzione dei posti letto che si sta portando avanti costituisce un ostacolo. Inoltre si dovrebbe garantire l’appropriatezza delle cure erogate con una continua interazione e collaborazione tra Istituzioni ed operatori del settore, al fine di trovare dei chiari punti di intesa su cui sviluppare una implementazione ed un miglioramento del servizio offerto; a tal proposito ricordo ancora la necessità di un rigoroso controllo della qualità dei risultati clinici forniti soprattutto in un momento come quello attuale in cui si impone la necessità di un serio e razionale controllo della spesa pubblica”.

Occorre quindi, a mio avviso, svoltare nella gestione ed organizzazione della sanità lombarda a tutti i livelli rimettendo il paziente al centro dell’universo salute.  Speriamo che la nuova giunta regionale della Lombardia, che andremo ad eleggere a fine febbraio, non sia miope e sorda alle sollecitazioni che solo chi è “in campo” tutti i giorni può dare. Per i pazienti e con i pazienti. Senza interessi “aziendali” ma solo per il benessere del cittadino.