Con lo spirito degli esploratori artici (de’ noantri) mi sono imbarcata su una nave della compagnia “Hurtigruten”: la prima linea commerciale norvegese fondata nel 1893 a collegare il sud della penisola scandinava con i porti della Siberia occidentale, passando per l’estrema punta del Nord. Da Bergen a Kirkenes abbraccio dal 60esimo al 71esimo grado di latitudine nord. In mezzo a fiordi innevati. Tra le mani “L’uomo che inventò il Polo Nord” della raffinata casa editrice “Nutrimenti”, regalo di Girlie Camperio, non a caso nipote di Manfredo, il grande esploratore italiano. “Provo ad immedesimarmi con quei pionieri del Gotha che consideravano il Polo Nord l’ombelico del mondo e la sua conquista il compito più importante dell’umanità.
Un concetto puramente mentale, quello del Polo Nord, un’astrazione matematica, ricavata da calcoli di trigonometria. Un luogo non luogo, di fatto inesistente che, forse proprio per questo, ha sempre esercitato uno straordinario fascino. Che cosa voleva significare trovarsi in un punto dal quale, in qualsiasi direzione si procedesse, si poteva andare solo e sempre verso sud? E poi, quanto era grande il Polo? Come un quarto di dollaro, come un cappello o come una piccola città?”, scrive l’autore Philip Felsh, professore di storia delle scienze umane alla Humboldt Universitat di Berlino. Anche se mi trovo un bel po’ all’interno del Circolo Polare Artico (che incomincia a 66° latitudine nord), non sento il richiamo dello zero geografico; in realtà le mie aspettative sono assai più modeste. Sono a caccia delle cangianti luci del Nord. Le mitiche Northern Lights. E’ il fenomeno dell’aurora boreale, dal nome che gli antichi greci avevano dato al “Regno di Borea” le terre nell’estremo nord a loro sconosciute. La destinazione della crociera artica è il mitico Capo Nord, 71°, 10′, 21″, latitudine nord. Consulto il calendario e faccio i miei calcoli. L’ultimo giorno di luce solare a North Cape è stato il 18 novembre, il primo giorno in cui riappare, finita la unga notte polare, è il 23 gennaio. In mezzo, un’atmosfera rarefatta, ovattata, di lontani bagliori.
Un mondo blu scuro che mi avvolge. Se le condizioni meteorologiche lo consentono, pennellate di verde, giallo e viola bucano all’improvviso l’oscurità. Sono le magiche luci del grande nord, che arrivano dallo spazio. Si tratta, in realtà, di una turbolenza cosmica, che ci giunge dal sole. Utilizzate per secoli dai primitivi navigatori dei mari artici come bussola (si muovono all’incirca da est verso ovest), oggi mandano in confusione radar aeronavali e navigatori satellitari e sono oggetto di studio continuo da parte degli scienziati aerospaziali. In questo ambito, la Norvegia è da sempre all’avanguardia e si è, negli anni, ritagliata un importante ruolo nella comunità astronautica mondiale. Nel 2012 sono stati ricavati dalle operazioni spaziali norvegesi oltre 7 miliardi di corone (oltre un miliardo di euro), prevalentemente derivanti dal trasferimento di suoni, immagini e dati via satellite. E intanto l’aurora boreale sta diventando sempre di più oggetto di ricerca per meglio capire gli effetti sul nostro pianeta delle dinamiche fisiche dello spazio.
La terra sta vivendo un periodo di particolare attività geomagnetica ed è previsto che le esplosioni solari (che provocano il fenomeno della Northen Light) quest’anno saranno le più intense degli ultimi trent’anni.
Il tempo a queste latitudini è assolutamente imprevedibile. Tira sempre una vivace brezza polare che soffia a 90 kilometri all’ora e anche oltre. Una tempesta artica ha invece fermato, l’anno scorso, gli anemometri a 280 kilometri. Oltre non andavano, ci informa la guida. Di spedizioni a Capo Nord ne cancellano mediamente due alla settimana.
Malgrado il blizzard che mi tagliava la faccia come la lama di un coltello, ho messo anche io la mia “bandierina mentale” sul ghiaccio del punto più settentrionale d’Europa. Preceduta da uno spazzaneve di dimensioni spaventose che spianava la strada che congiunge il porticciolo dell’isola al punto di osservazione di Nordkapp. La vista dall’alto sulle falaises frastagliate lambite dal mare di Barent è spettacolare. Passo davanti al monumento intitolato ai “Children of the World”, inaugurato nel 1989 (che è anche diventato un premio con borsa di studio ). Sette bambini provenienti da ogni angolo del pianeta sono stati invitati a disegnare una moneta unica. Riprodotte poi in bronzo in dimensioni ciclopiche sono state innalzate lì a simboleggiare che tra bambini, gli adulti di domani, non esistono differenze di razza, religione e cultura.
Sarà, forse, per questo che è stato messo in capo al mondo.