Economia & Lobby

Il gioco d’azzardo: l’iniquità di una “tassa volontaria”

Il gioco d’azzardo contribuisce in modo rilevante alle entrate dello Stato. Ma alcune categorie sociali spendono in modo più che proporzionale rispetto alle loro risorse economiche. Amplificando così le disuguaglianze economiche. La mobilità sociale dovuta alla fortuna, non al talento e al lavoro.

di  e , lavoce.info, 29 Gennaio 2013

Le entrate per gioco

In Italia, come in altri paesi occidentali, i giochi d’azzardo legali costituiscono una percentuale rilevante delle entrate tributarie: tra il 1999 e il 2009 hanno fatto incassare in media all’erario il 4 per cento sul totale delle imposte indirette e, in termini assoluti, hanno contribuito alle casse statali con una media di 9,2 miliardi di euro all’anno. (1) Secondo gli ultimi dati Aams (Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato), nel periodo gennaio-ottobre 2012 la raccolta complessiva, ossia l’insieme lordo del denaro mosso dai giochi, è stata di circa circa 70 miliardi. La raccolta derivante dai giochi è composta da diverse voci: quota dovuta all’erario, costi di concessione, costi di distribuzione, quota dovuta ad Aams e payout, ossia la parte che torna ai giocatori in forma di vincite.

È importante notare che il meccanismo di redistribuzione tra giocatori e Stato contribuisce a riprodurre disparità già esistenti, dato che lo Stato trattiene una quota delle giocate sotto forma di tassazione. Assumendo che le vincite siano distribuite in modo casuale tra i giocatori, se ne deduce che se alcune categorie sociali spendono nei giochi in modo più che proporzionale alle loro risorse economiche, verseranno relativamente più denaro nelle casse pubbliche rispetto alle altre categorie. (2)

In uno studio recente abbiamo indagato la spesa in giochi d’azzardo delle famiglie italianesecondo la loro posizione socio-economica. (3) Sono stati utilizzati i dati Istat tratti dall’Indagine sui consumi delle famiglie italiane (anni 1999, 2003, 2008), analizzando la spesa mensile delle famiglie in un ristretto paniere di giochi che comprende Lotto, Totocalcio e Gratta & Vinci. (4)

Il grafico riporta la relazione tra il reddito famigliare equivalente e la percentuale del reddito speso nei suddetti giochi. La figura mostra che le famiglie con redditi più bassi tendono a spendere una percentuale del loro reddito più alta rispetto alle famiglie più ricche. Questo è vero sia considerando la spesa media in giochi tra tutte le famiglie italiane (linea tratteggiata), sia limitandosi a quelle con almeno un giocatore (linea continua). Le famiglie giocatrici più povere spendono circa il 3 per cento del loro reddito in questo tipo di giochi, mentre quelle più ricche spendono meno dell’1 per cento.

Dato che i giochi di pura fortuna portano in media a una perdita di denaro perché sui grandi numeri “il banco” vince sempre, la spesa in giochi si traduce a tutti gli effetti in una sorta di “tassazione volontaria” di tipo regressivo e in un più generale fattore di disuguaglianza socio-economica.

 

L’imperativo di “far cassa”

Il gioco d’azzardo legale consente allo Stato di incrementare con (relativamente) scarsa fatica le entrate erariali e di regolamentare un settore ad alto rischio di infiltrazione da parte della criminalità organizzata. A livello individuale, il gioco d’azzardo riveste un ruolo ludico e di intrattenimento per i giocatori, che comporta anche il piacere di fantasticare su possibili vincite di denaro.I vantaggi si accompagnano però a costi sociali che non possono essere minimizzati. Oltre al noto e gravoso problema delle ludopatie, i giochi di azzardo agiscono come un tassa regressiva aggravando le condizioni economiche delle famiglie più povere. (5)

Esiste inoltre un aspetto etico-valoriale da non sottovalutare, riferito all’incentivazione di canali di mobilità sociale ascendente svincolati dal merito individuale e basati sulla pura fortuna. In altre parole, c’è da chiedersi se l’incoraggiamento di tali attività da parte dello Stato non contribuisca a diffondere una cultura in cui l’importanza del talento, dell’impegno e del lavoro venga sminuita.

In tutto ciò lo Stato italiano sembra non aver avuto dubbi consentendo, attraverso Aams, campagne pubblicitarie massive e liberalizzando il settore del gioco d’azzardo. (6) Si è data quindi priorità ai vantaggi finanziari, al “far cassa”, trascurando, tra i vari aspetti negativi, le ripercussioni sociali in termini di aumento della disuguaglianza.

(1) Il dato è riferito alle entrate erariali, le tasse che lo Stato incassa dai giochi.

(2) Beckert, J. e Mark Lutter, M. (2009). „The Inequality
of Fair Play: Lottery Gambling and Social Stratification in Germany”, in European Sociological Review, vol. 25, n. 4, pp. 475–488.

(3) Sarti, S. e Triventi, M. (2012). “Il gioco d’azzardo: l’iniquità di una tassa volontaria. La relazione tra posizione socio-economica e propensione al gioco”. Stato e Mercato, 96, 503-533.

(4) Purtroppo l’Istat non registra informazioni sui giochi online e sulle Newslot (apparecchi elettronici), che costituiscono un segmento importante e in forte espansione, contrariamente al Lotto e al Totocalcio che sono in contrazione.

(5) Sulle ludopatie, si veda ad esempio il sito dell’associazione medici-psichiatri.

(6) Il decreto legge 13/8/2011 all’articolo 2 comma 3 recita: “Il ministero dell’Economia e delle Finanze-Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, […] emana tutte le disposizioni in materia di giochi pubblici utili al fine di assicurare maggiori entrate, potendo tra l’altro introdurre nuovi giochi, indire nuove lotterie, anche a estrazione istantanea, adottare nuove modalità di gioco del Lotto, nonché dei giochi numerici a totalizzazione nazionale, variare l’assegnazione della percentuale della posta di gioco a montepremi ovvero a vincite in denaro, la misura del prelievo erariale unico, nonché la percentuale del compenso per le attività di gestione ovvero per quella dei punti vendita”.