Cronaca

E’ morto un clochard vabbuò, pigliamc o’ cafè

E’ avvolto in una coperta. E’ senza vita. Franco aveva 60anni e un disagio mentale. Viveva tra la Galleria Umberto e i porticati del Teatro San Carlo, gli stessi che il principe della danza Roberto Bolle aveva immortalato in una foto scandalo finita su Twitter che scatenò tante finte polemiche.

Due poliziotti vegliano quel clochard senza vita che credeva di essere inseguito da demoni e spettri. Una vita difficile e sbandata. Un’esistenza carica di sofferenze ma non priva di dignità. Il suo cuore si è fermato durante una fredda notte partenopea. La scientifica tarda ad arrivare per i rilievi. La scena è tragica, agghiacciante, immobile. Franco da vivo e adesso da morto non è mai esistito. Di fronte a quel giaciglio neppure uno sguardo di umana pietà, un segno della croce, un fiore. Niente. A pochi metri dal cadavere c’è solo indifferenza. Tra risate fragorose e chiacchiere sguaiate c’è chi tranquillamente sorseggia un caffè seduto al tavolino del bar.

Diciamo la verità: è morto un barbone, un disgraziato, un disadattato, un fantasma sociale, un tizio che non valeva un cazzo allora chi se ne fotte. Quel fermo immagine fa tremendamente male. Non è degno di Napoli. Dove sono finiti quei partenopei generosi, solidali, altruisti? E’ mai possibile che questa gloriosa e antica città tra camorre, malaffare, crisi economica abbia così maledettamente venduto l’anima al diavolo. La scena è tanto odiosa a tal punto che una comitiva di turisti intenti a fotografare la facciata del lirico partenopeo osserva sbigottita. Non penso che Napoli sia indifferente al dolore però credo che molti miei concittadini abbiano perso quella pulsione ad “essere parte” al dire “vuoi una mano”, “posso aiutarti”, “organizziamo una colletta per quel povero cristiano”.

Lo slancio, le storie di “normale” solidarietà, ospitalità, accoglienza, eroismo hanno reso Napoli famosa nel mondo. Adesso assisto ad una città rancorosa, impaurita, egoista, rinunciataria e sconfitta. Non bisogna dimenticare chi siamo e da dove veniamo. Siamo il popolo che si è ribellato al nazi-fascismo versando sangue innocente e guadagnandosi la medaglia d’oro al valor civile. Lasciare spazi di non partecipazione è pericoloso. Addormentarsi è imperdonabile. Dalle fogne risale un’allarmante e mefitica mucillagine fatta di merda e xenofobia. Con estremisti di destra che alla luce del sole progettavano di stuprare una giovane universitaria perché ebrea oppure incendiare un negozio di proprietà di un discendente di una famiglia ebrea. Questo manipolo di teste vuote sono finite dietro le sbarre e spero che non escano più. Nelle carte delle indagini si legge – tra l’altro – che negavano perfino l’esistenza dei campi di concentramento, della shoah, dell’olocausto e per “diletto” quando s’incontravano nella loro sede – già covo negli anni settanta della morte di una giovane Iolanda Palladino leggevano e riflettevano sul libro “Mein Kampf” di HitlerMi fa orrore, mi fa schifo, mi atterrisce, mi inorridisce questa città smemorata. Basta slogan, basta chiacchiere, basta proclami. Occorre partecipare. 

Non possiamo permetterci di arretrare e far scivolare sullo sfondo il lavoro dei tanti che ogni giorno e notte operano su tutto il territorio cittadino fornendo assistenza, coperte, pasti e bevande calde ai tanti sfortunati come Franco. Non possiamo ignorare i nostri fratelli partigiani che liberarono la città. Non possiamo dimenticare i tanti che sacrificando la propria vita si sono opposti e si oppongono alla barbarie del camorra. Napoli deve riappropriarsi del suo dolore, della sua umiltà, della sua filosofia dell’esistenza e ricacciare nelle fogne i tanti miasmi che tentano di impossessarsi di lei. Napoli deve tornare ad essere sociale e condominiale: a farsi carico degli ultimi tra ultimi.