Politica

Illegalità di Stato e diritto alla disubbidienza

Qualche giorno fa sono andato a Magenta, trascinato da un’amica, all’evento “Via mafia e ‘ndrangheta dalla nostra zona!!” organizzato dalla Carovana antimafia ovest Milano, ed ho ascoltato con piacere Giovanni Impastato (fratello di Peppino), Ilaria Ramoni, referente di Libera Milano, David Gentili, presidente della commissione antimafia del Comune di Milano e Mario Portanova, giornalista di questo giornale e coautore del libro “Mafia a Milano. 60 anni di affari e delitti”. Ho vissuto un momento di conoscenza di un fenomeno gravissimo, che la Lega e tanti hanno negato a lungo, ma soprattutto sono stato partecipe di un momento di profonda coscienza civile.

La coscienza si forma attraverso la conoscenza. La conoscenza pretende la libertà di denuncia. La denuncia transita attraverso i movimenti, le azioni delle singole persone e viene poi veicolata al pubblico attraverso gli strumenti di informazione. Nel nostro Paese, gravemente malato, la libertà di informazione è venuta scemando attraverso la concentrazione dei mass media nelle mani di pochi soggetti, protagonisti di una politica priva di etica. Gli italiani, già poco avvezzi alla cultura di loro, sono così stati incanalati verso il pensiero unico del nulla. La coscienza civile non si è formata perché la conoscenza è stata impoverita. Poche le voci fuori dal coro, tra cui certamente spicca Il Fatto Quotidiano.

Il pensiero unico del nulla è ben rappresentato dal dibattito politico che pervade i nostri spazi in queste settimane, in cui assistiamo alla politica del nulla, oscillante al più tra l’Imu e Berlusconi, o tra le colpe di Monti, con Monti che attribuisce la responsabilità di tutte le sue scelte a chi lo ha preceduto. Fine delle trasmissioni.

Un nulla davvero inquietante poiché al contrario ci aspettano anni complessi davanti. Manca una visione del futuro, idee e forza di pensiero che solo un leader può indicare. A meno che non crediate che gente come B&B o Montipython siano dei leader.

In tale contesto poche le voci veramente fuori dal coro: il M5S, Rivoluzione Civile e Fare. Ognuna di esse con pregi e difetti. Quanto meno indipendenti e con un programma ben definito. Il M5S molto aggressivo e di rottura, con un verticismo che però appare contrastante con lo statuto di democrazia che rivendica. Rivoluzione Civile con un programma forte e molto centrato sulla legalità, sulla sacralità della Costituzione e sulla lotta alle mafie. Fare con un dna squisitamente liberale, forse l’unico in Italia, che vuole meno Stato.

La serata di Magenta mi è cara perché ho ascoltato intensamente Giovanni Impastato, il quale nel suo lungo intervento dorato da un piacevole accento siculo, ha ricordato la storia del fratello e alcuni fatti lungamente taciuti ma soprattutto ha posto l’attenzione sulla preziosità e irrinunciabilità, per il bene di tutti, della disubbidienza civile come svolta storica per ottenere cambiamenti epocali. Disubbidienza civile che diviene tale solo se si oppone a fenomeni e scelte di legalità profondamente illegali. Quella che io ho chiamato, nel corso di alcuni miei scritti, come “Illegalità di Stato”. La più pericolosa ed invasiva, perché prepotente e autoritaria.

Giovanni Impastato ha ricordato uno degli esempi più noti di disubbidienza civile, quello di Rosa Louise Parks, divenuta un simbolo del movimento statunitense per i diritti civili, quando nel 1955 ha rifiutato di cedere il posto su un autobus ad un bianco, dando così origine al boicottaggio degli autobus a Montgomery. Il conducente James Blake le ordinò di alzarsi e andare nella parte riservata ai neri ma Rosa si rifiutò. Stanca di essere trattata come una cittadina di seconda classe, rimase al suo posto. Il conducente fermò il bus, chiamò i poliziotti e Rosa Parks fu arrestata e incarcerata per condotta impropria e per aver violato le norme cittadine. Da allora venne conosciuta come “the woman who didn’t stand up“. E la storia cambiò.

Ecco serve per il bene di tutti che anche in questo misero Paese qualcuno inizi a “non alzarsi”, e se serve anche a farsi arrestare, per poter cambiare la storia.

I casi di profonda illegalità di Stato sono centinaia (la decretazione d’urgenza impropria che ha espropriato il ruolo primario del Parlamento; il finanziamento dei Partiti occultato sotto la voce rimborsi fasulli; le false riforme della giustizia volte solo a demolirla; le false riforme del fisco volte solo a incrementare la pressione fiscale; la normazione volta a garantire privilegi alla Chiesa; il diritto di famiglia che tratta in modo diseguale ex coniugi ed ex conviventi, fondato sull’ipocrisia di principi astratti; la riforma del lavoro e della previdenza fondata sul principio di dis-uguaglianza etc.), forse non basterebbero le pagine de Il Fatto Quotidiano per riportarle. Eppure, per voluntas legislatoris l’illegalità (così sarebbe in qualsivoglia altro Paese dotato di comune avvedutezza, ergo dei suoi legislatori) diviene con un colpo di bacchetta “legalità”. E per rafforzare il pensiero unico, che si vuole inoculare a piè spinto (da destra a sinistra, passando per il centro, in una grande cloaca mal mostosa, sigle oramai apocrife), si denunciano come “giustizialisti” quelli che rivendicano una legalità giusta, equa, conforme al dettato costituzionale. Vilipesa, la vera autentica legalità, da anni di affarismi personali e criminali. In Italia la rivendicazione della legalità diviene così mero giustizialismo da disprezzare, alla stregua del pistolero dei film di Sergio Leone. Il quale però, lo ricordiamo, è stato snobbato da vivo e riconosciuto maestro dopo la sua morte.   

La vera rivoluzione civile parte dall’indignazione tradotta in azione. Il voto potrà essere solo un vagito, molto importante, ma rimarrà pur sempre un vagito. Dopo il vagito serve il ruggito.