Cultura

Manoscritti nel cassetto/5: Vittima di una genesi (anonimo)

Qualche autore mi ha chiesto di restare anonimo. Perché no?

Buona lettura e buone cose (reb)

Vittima di una genesi

– anonimo –

Capitolo 1

Mi alzo dal divanetto con un senso di sollievo.
Sollievo, si: la stessa sensazione che provavo quando da piccolo vedevo una scena particolarmente inquietante in un film e ne attendevo la fine con ansia. Incapace di distogliere lo sguardo. Spesso conoscevo già come si sarebbe conclusa, avendola magari già vista in precedenza, ma provavo ansia lo stesso. Crescendo e riguardando le stesse scene dei film che mi inquietavano, l’ansia cedeva il passo a nuove sensazioni quali eccitazione, violenza, rabbia, paura, disgusto. Mi dispiaceva che finissero. Avevo imparato a decodificare le immagini e a sfruttarle per provare emozioni. 
Anche oggi la mia scenetta settimanale è finita, ed è durata come al solito una buona mezz’ora, togliendo i convenevoli e le inevitabili frasi necessarie ad entrare nel personaggio. Necessarie più per lui che per me. Come li chiamo io “i preliminari di chi vuole fotterti il cervello”. Il mio personaggio, quello che da settimane ho partorito, ha il duro e catartico compito di mostrare ad alcune persone chi sono realmente. Purtroppo sorbirmi parole come “narcisista”, “insicuro”, “controllore”, condite con “gelosia distruttiva” e “rabbia repressa” – queste le più frequenti, alle quali reagisco come un condannato che firma la sua confessione – fa parte del ruolo. Come se queste parole fossero le metastasi cerebrali della mia follia, le sue domande i ferri chirurgici per rimuoverle.
Quindi con i suoi sapienti colpi lessicali, appresi con la presunzione di renderli efficaci, cerca di fare breccia nel mio malessere interiore, cerca di rendermi come la società si aspetta da gente come lui. Il chirurgo della mente, si è autodefinito una volta! L’ho gratificato con un sorriso. 
A dire il vero, l’ho gratificato più di una volta, come un genitore amorevole con un figlio che cade imparando ad andare in bicicletta, concedendogli a volte piccole soddisfazioni professionali quali ad esempio darmi un kleenex per le lacrime che non riesco a controllare, o confidandogli segreti scabrosi, oppure dicendogli che sto meglio al termine di ogni seduta. 
Passare da idiota agli occhi di uno stolto è un lusso per pochi, diceva Courteline. Io dico invece che passare da disturbato agli occhi di uno psichiatra è fin troppo semplice. 
Non che io non lo sia, disturbato intendo, ma se questo qui sapesse quanto è lontano dal conoscere la vera entità dei miei disturbi credo che rinuncerebbe subito ai suoi centocinquanta euro l’ora pur di non vedermi più. Ma fa parte del piano. Controllo l’agenda mentre l’uomo davanti a me spara giorni ed orari consultando il suo tablet, lasciando strisciate unte sullo schermo. 
Dopotutto, poverino, si è sorretto la fronte sudata per quarantacinque minuti, mentre rispondevo alle immancabili domande sulla mia vita sessuale e le pratiche che ne conseguono. Sono certo che mi invidia, e non è un caso che le domande di questo tipo siano iniziate dopo che mi vide con la mia ragazza. Ma non importa, fingo di non essermene accorto. A volte quando il sangue mi rimbomba nelle orecchie per la rabbia, mi lascio andare ad una sorta di timidezza, di ritrosia nel raccontargli dettagli, obbligandolo a farmi domande specifiche e insistenti. Senza però fargli capire che sono io che lo sto esaminando ora, che sto facendo uscire il suo vero Io.
Brutto figlio di puttana. 
Scelgo il giorno e l’ora, e quando conferma l’appuntamento lascio trasparire la mia collaudata espressione di gratitudine, come se sapere che potrò rivederlo lo rendesse emotivamente equiparabile ad una bella donna che non vedo l’ora di incontrare di nuovo.
Arraffa i soldi, mi consegna la ricevuta e mi fa uscire nell’anticamera, dove un uomo attende il suo turno tenendo la testa abbassata, come se ci trovassimo nell’anticamera di una casa di appuntamenti e ci si dovesse per forza sentire imbarazzati.
Saluto il prossimo paziente con gentilezza e complicità.
“Sto addomesticando l’animale, lo stesso animale che ha preso a pugni un tizio solo perché lo aveva toccato! Il tutto in soli sei mesi! Merito la mia parcella, anzi, vista la mia bravura devo considerare la possibilità di aumentarla”, sta pensando. Glielo leggo nello sguardo compiaciuto, nell’esaltazione del suo ego espressa e celata nelle rughe agli angoli della bocca.
Esco, mi affretto a chiudere la porta con solerzia, rivolgendo l’ultimo sorriso allo psichiatra. La serratura scatta. Premo il pulsante dell’ascensore: da tempo questo gesto segna la fine della recita, e di colpo torno ad essere me stesso.
Devo avere pazienza. L’obiettivo che mi sono posto lo richiede. 
Questo tizio è perfetto: racchiude la più alta professionalità disponibile in città e tutto ciò che sto imparando ad odiare meglio. Traspira una malriposta fiducia nella sua capacità di comprendermi, gli sembra di avermi già inquadrato come uno qualunque dei suoi pazienti. 
Si aprono le porte dell’ascensore, e nello specchio vedo il mio riflesso. Le spalle si sono raddrizzate, la testa è alta, i muscoli sono tesi, i miei occhi sono tornati ad essere spietati. Sorrido al mio riflesso ed entro.

Quarta di copertina

Un professionista affermato, dalla doppia vita, disturbato. Schiavo di una perversione senza la quale non potrebbe condurre una vita socialmente accettabile.
Il suo equilibrio viene sconvolto da una donna, in grado di distruggere le sue sicurezze.
Ormai senza freni, colmo di paure e di incubi, quest’uomo deve affrontare  la sua vita in modo nuovo, perdendo sempre più il controllo e sprofondando nella violenza che fino ad allora era riuscito a gestire. Un libro senza nomi, date, luoghi. La ricerca del sollievo attraverso la sofferenza. Un racconto che si snoda mediante i pensieri del protagonista, seguendo i suoi ragionamenti e le sue considerazioni sulla vita, il suo passato, le donne, i suoi lavori, la sua rabbia. Il suo desiderio di essere accettato dall’unica persona che conti ormai qualcosa nella sua vita, lo porterà a perdere consapevolezza dell’essere carnefice o vittima della sua esistenza.

L’autore

Trentatré anni, “Vittima di una genesi” è il suo primo lavoro. Cocktail autobiografico di fantasia. 

blackcrow@hotmail.it