Cultura

Manoscritti nel cassetto: L’ombra della realtà (di Marcello Ciancio)

Sono arrivati circa 130 “manoscritti nel cassetto” e altri ne stanno arrivando. Non escludo, quindi, di porre una scadenza. Chi volesse ancora partecipare, comunque, può farlo, scrivendo a bastardoposto@gmail.com, dopo aver letto il primo post e anche quanto segue.
Non interverrò mai sul capitolo che mi inviate, nel senso che non apporterò correzioni (a meno che non si tratti di qualche refuso); se però il primo capitolo è troppo corposo, invece, mi riservo di tagliarlo. Mi riservo anche di apportare aggiustamenti su ipotesi di quarte di copertina e biografia, che andrebbe in terza persona.
E adesso buona lettura con la prima proposta editoriale.

L’ombra della realtà 
di Marcello Ciancio

Primo Capitolo

10 agosto 2010 Ore 9.30
– Dove si va? – disse il commissario salendo in auto.
– Andiamo verso via Nomentana, verso l’incrocio con via del Casale di San Basilio. – rispose il vice commissario, accendendo l’auto di servizio, una Punto grigia.
– Chi è il morto?
– Un certo Giorgio Pallante.
– Senti, io sono appena arrivato al commissariato, non ho neanche fatto colazione. Non mi rispondere a monosillabi. Fammi un resoconto! – sbottò il commissario Sergio Mantini.
Il commissario era un po’ sovrappeso, quasi sulla sessantina, e quel giorno, visto che non aveva in programma appuntamenti formali, vestiva in jeans e camicia a maniche corte. Del resto il caldo a Roma d’estate era micidiale. Purtroppo di vacanze, quest’anno, neanche a parlarne.
– Ok Ok. – rispose il vice commissario Carlo Ricci. – Giorgio Pallante era ricercatore presso la casa farmaceutica Salufarm, che ha sede a sud di Roma, zona Cecchignola…
– Giorgio Pallante…
– Si occupa di vaccini, anche se non so esattamente cosa facesse di preciso. Ho sentito telefonicamente il direttore della struttura, Stefano Nardi. Il cadavere l’han trovato i vicini di casa stamattina. Ha telefonato una signora che sembrava in preda a una crisi isterica. La sovrintendente, Gloria Falzini, che ha risposto alla telefonata, ha faticato non poco a farsi dare l’indirizzo.
– Come l’han trovato?
– Pare che la porta fosse aperta e il cadavere fosse per terra. La scientifica dovrebbe essere già lì, sono partiti mezz’ora fa. Siamo noi che siamo in ritardo…
– Senti, Mr. Precisetti, non starmi a parlare di orari. Di solito farò anche tardi, ma oggi iniziavo il turno alle 10. Se non mi chiamavi davanti al bar non ero qui, e al momento non sono ancora in servizio. C’è altro?
– Sì… – rispose Ricci, sopportando lo sfogo del commissario con un sorriso amaro – ho un po’ di notizie anagrafiche riguardanti la vittima.
– No, scusa. Dimmi pure. Quando non faccio colazione qualche volta sono un po’ troppo nervoso. – si corresse il commissario accorgendosi di avere esagerato. Il vice commissario faceva del suo meglio, anche se aveva l’atteggiamento del primo della classe.
– Pallante era nato nel 1970; si era laureato in medicina a Roma 3. Non risulta né sposato né fidanzato. Viveva solo.
– Ce la fai a darmi del tu?
– Cosa?
– Ce la fai a darmi del tu?
– Certo, non ti sto dando del tu?
– No.
Ricci provò a buttarla a ridere:- Ah. E’ che mi sento in soggezione ogni volta che mi fa…, fai le domande. Mi sento come se mi stessi interrogando. – Sorridendo aggiunse:- Fossi un criminale mi smaschereresti subito, vado in apprensione. A proposito, la sa…i quella del criminale con la pistola giocattolo?
E il commissario sussurrò:- per favore, pietà.

Scesero dall’auto. Si trovavano in una zona residenziale, tutt’intorno a loro erano stati edificati negli anni settanta molti condomini come fossero funghi. Nonostante tutti questi palazzi fossero stati costruiti durante la grande espansione edilizia della periferia romana non erano, a ben guardarli, i soliti palazzoni anonimi come quelli che rappresentano talvolta nei film le periferie degradate delle grandi città. Si notava in realtà un certo gusto urbanistico, pur nell’assenza di zone verdi comuni. La palazzina dove abitava Giorgio Pallante era a tre piani. La polizia scientifica era già arrivata. Due macchine erano posteggiate fuori dal condominio con i lampeggianti accesi; ma fortunatamente gli agenti avevano spento le sirene. Tutt’intorno una folla di curiosi, soprattutto donne di mezz’età e uomini anziani. C’era anche qualche adolescente incuriosito che forse sperava di vedere il morto.
Ci sarebbe stata molta più gente in inverno, pensò il commissario, senza questo caldo soffocante. Roma si svuota, caldo e niente mare, afa e umidità, clima infelice. E noi restiamo qui.
– Salve commissario. – disse l’agente Tomas Gloria, della scientifica. – Ciao Carlo.
Il vicecommissario si avvicinò al commissario e gli disse: – Vede, le dà del lei anche l’agente! A me invece dà del tu. Si vede che lei mette soggezione! – e abbozzò un sorriso.
Il commissario non rispose, non sorrise, e invece chiese:- Dove dobbiamo andare?
– Vi faccio strada. Dobbiamo salire al terzo piano. C’è l’ascensore, ma ancora stanno facendo i rilievi ai pulsanti, quindi…
– Quindi si sale per le scale, che ci si tiene in forma! – concluse Ricci.
– Non mi sembra che tu ne abbia bisogno. – disse Tomas al vicecommissario, alludendo alla splendida forma di Ricci. Poi si accorse che poteva sembrare una mezza offesa per il commissario. Accortosi di avere fatto una mezza gaffe non parlò più, e così nessuno aggiunse una parola fino a che arrivarono al terzo piano.

– Chi ha trovato il cadavere? – chiese il commissario all’agente.
– La dirimpettaia, la signora Pamela Picchiotti.
– Parlerò con lei dopo, mostratemi prima la scena del crimine.
La porta era spalancata. All’interno dell’appartamento gli agenti della scientifica stavano completando i rilievi. Il cadavere era quasi sulla porta e il medico legale, Alessandro Brunetti, lo stava esaminando per una prima analisi. Il dottore era quasi in età di pensione, avendo superato abbondantemente la sessantina. Era un omino piccolo vestito sempre in maniera trasandata. I pochi capelli che gli restavano avevano il riporto e davano l’impressione che lui fosse appena uscito da un film degli anni ’60.
– Salve, commissario Mantini!
– Buon giorno, dottore. Che mi racconta?
– Gli hanno sparato. Un colpo secco al cuore e pace all’anima sua.
– L’han trovato proprio qui?
– Sì, un piede usciva dalla porta. Quando sono arrivato la porta era aperta, ma la signora dice che ha trovato la porta chiusa, ha visto solo il piede, e la porta la ha aperta lei.
– A che ora è stato ucciso?
– La notte appena passata, verso le 11 di sera. Ora più ora meno, lei sa sicuramente che con questo caldo è un po’ difficile essere sicuri dell’ora della morte, anche se si deve tenere conto che ieri sera aveva un po’ rinfrescato.
– Idee sulla dinamica dell’omicidio?
– Semplice semplice: l’assassino ha suonato alla porta. Lui ha aperto e si è girato, probabilmente per farlo entrare. L’assassino gli ha dunque sparato un colpo sulla schiena a sangue freddo. Dritto al cuore. Sembra quasi ovvio che conoscesse l’assassino ed avesse aperto per farlo entrare. Però ci sono un paio di cose che non mi convincono.
– Mi dica.
– La casa è tutta in subbuglio. Se lei ha la casa tutta in subbuglio, che fa?
E al vicecommissario Ricci spuntò un sorriso.
– La metto in ordine, dottor Brunetti! Che fa, gioca con me? Le faccio una domanda e invece lei gioca agli indovinelli?
– Ogni tanto ci provo, ma de ridè un po’ con lei n’se ne parla. Insomma la casa è in subbuglio, suonano alla porta, lei apre e fa accomodare l’amico? Io dico di no. Io chiamerei la polizia, o qualcun altro.
– E magari l’ha fatto. Ricci, telefono, tabulati, cellulare, occhio alle impronte, e poi mi fai sapere, e meno risatine.
– Agli ordini, commissario. – rispose Ricci accennando un inchino.
– Sì, è vero. – aggiunse il dottore – è possibile. Ma se non sono state fatte telefonate allora potrebbe essere l’assassino che ha messo a soqquadro la casa.
– Quindi prima lo uccide, e poi cerca qualcosa?
– Sì, ma il piede usciva dalla porta d’ingresso. E di fronte ci sono dei vicini. Lei ammazza qualcuno, lo lascia in bella vista dal pianerottolo e si mette a cercare qualcosa in casa? Guardi che disastro! Ci vogliono almeno un paio d’ore a ridurre la casa in questo stato.
– Io non ammazzo nessuno. Comunque sì, effettivamente c’è qualcosa di strano. Almeno l’assassino poteva evitare di lasciare il cadavere in bella vista.
– Il referto definitivo glielo mando io o passa lei?
– Cerco di passare io nei prossimi giorni. Grazie comunque per la chiacchierata informale.
– E de che? – Concluse Brunetti tornando al lavoro.
Il commissario entrò in casa. Un appartamento normale, ma arredato in maniera eccessivamente moderna. Sembrava che qualche architetto design di interni avesse progettato tutto, compresi i complementi d’arredo. Il tutto aveva un’aria un po’ troppo asettica per i suoi gusti. Gli uomini della scientifica stavano terminando il loro lavoro. Il commissario notò un paio di cornici con delle belle fotografie. In una era stato fotografato un bambino molto carino con due adulti, probabilmente i suoi genitori. La foto era datata, i colori ricordavano quelli delle foto degli anni ’80, e anche i genitori vestivano con abiti degli anni’80. Probabilmente il bambino nella fotografia era proprio la vittima dell’omicidio.
C’era un’altra foto con un mucchio di gente vestita in maniera, diciamo, atipica. Sembrava una festa gay. Quello sorridente al centro della foto doveva essere Giorgio Pallante, molto più felice e spensierato di adesso. Entrò poi in camera da letto; anche qui dominava l’ambiente un letto moderno in stile spaziale. I materassi erano stati ribaltati, le lenzuola erano per terra, il cuscino in un angolo. Il commissario chiese a Tomas se poteva toccare qualcosa, e l’agente gli rispose che lì erano già passati e avevano già fatto foto e rilievi, quindi avrebbe potuto anche guardare e toccare senza problemi. Sergio aprì l’armadio. In un’anta c’erano vestiti da uomo, in un’altra vestiti da donna, ma di misura molto grande. Era un elemento interessante. Pensò di chiedere se fosse possibile dare un’occhiata all’agenda.
– Scusi, agente Gloria, la vittima aveva un diario?
– Sì, l’abbiamo trovato e già messo via per i rilievi.
– Me lo fa recapitare in ufficio?
– Senz’altro, al più presto.
– Mi accompagni dalla signora che ha trovato il cadavere, per favore.
La signora Picchiotti era più sull’ottantina che sulla settantina, piccola e ingobbita dall’età. Lei e il marito, un vecchietto un po’ sordo, sedevano in una cucina di un modello degli anni ’60. Solo a vederli si capiva che non potevano essere minimamente sospettati per l’omicidio: sembrava che non avessero nemmeno la forza di premere il grilletto, figurarsi addirittura di mettere in disordine una casa.
– Signora Picchiotti Pamela?
– Sì, dottò.
– Ha trovato lei il cadavere?
– Sì dottò! Me so’ pijata un corpo! So’ uscita stamatina e che te’ vedo? La porta der dottor Giorgio che non era chiusa. M’avvicino e vedo er piede fori de la porta. Stavo a pensa’ che magari aveva fatto tardi, e aveva bevuto un po’ troppo. Apro la porta e me vedo tutto sto’ sangue, o Maria!
E il marito, muovendo su e giù la testa diceva: See, See, See…
Il commissario immaginò che confermasse, forse erano dei sì.
– E suo marito dov’era?
– N’do stava mio marito? A letto che pe’ tirasse su je servo io. Stavo a annà a pija er latte e invece…
– Signora, lei non doveva aprire la porta, doveva chiamare la polizia.
– E che non lo so? E pure il dottore lo dice. Ma che so io, che gli hanno sparato ar Giorgio? E poi l’ho chiamata subito dopo la polizia.
– Ok, ok. Signora, sa qualcosa della vittima. Le sue amicizie? Era sposato?
– No, dotto’. Sposato proprio no. C’aveva l’amichetti che lo venivano a trovà a casa. – e quasi sorrise – ai miei tempi non se usavano ste’ cose. Ma ora so’ cose moderne. Pare che lo fanno pure i presidenti! Però era n’omo discreto. Non se sentiva gnente, che certe volte se vedono ‘n televisione di quelli che fanno la parate, che pare de stà ar carnevale der Brasile.
– Conosceva qualcuno di questi suoi amici?
– Sì, l’ho visti sulle scale. Ma che so’ io chi so’ sti’ tizi? Mica li presentava a na vecchia come a me’. Però gentili, me salutavano: Buonasera signora! Più cari de tanti omini che pare che so’ boni e ‘nvece…
E intervenne il marito: – Come a Ignazio….
La signora Picchiotti riprese:- Già a Ignazio, quello che prima se diverte co mme fija e poi quando stà pe’ partorì se la squaglia con n’artra. Questi parevano brave persone, poi chissà chi sò davero. Però era da un paio di mesi che se vedeva solo co’ due de questi, però non me chieda chi so’, che non lo so proprio. Uno però non me pareva mica n’amichetto, magari era er fratello, che ne so io? Però peccato, era proprio ‘na brava persona. Poi ora se se dovemo vennè casa chi se la pija dopo quello che è successo.
E il marito:- Già, chi se la pija.
– Signora, arrivederci e grazie per la disponibilità, se le viene in mente qualcos’altro mi chiami, questo è il mio numero.
– Grazie dottò. Arrivederci.

Quarta di copertina

Il romanzo “L’ombra della realtà” è un giallo con alcuni elementi di paranormale. La storia è ambientata nella periferia romana e il protagonista è un commissario di polizia di mezz’età abitudinario e disilluso. Il commissario sta cercando di risolvere un caso di omicidio, ma l’assassino non è una persona qualunque. Egli è ossessionato dalla morte, che giudica bellissima, e interpretando a modo suo la letteratura scientifica si convince che l’essere umano sia come un tumore per il pianeta terra. Per tale ragione ritiene che l’umanità debba essere eliminata, proprio per il bene del pianeta e, dopo molti anni di ricerca, riesce a produrre un batterio in grado di scatenare un’epidemia su scala mondiale. L’assassino ha inoltre una capacità che lo rende pressoché invincibile: è in grado di tornare indietro nel tempo per rivivere una giornata nella quale le cose non sono andate proprio come voleva lui. L’assassino si era infatuato di una ragazza in gioventù e cerca disperatamente di ritrovarla, ma questa ragazza, ormai diventata donna, si nasconde da lui da molti anni perché è a conoscenza delle sue abilità paranormali. I destini del commissario e di questa ragazza si incroceranno, e insieme cercheranno di risolvere una situazione ormai disperata.

Due righe sull’autore

Marcello Ciancio, nato il 24 gennaio 1967, insegna matematica alle scuole superiori ed è laureato in Matematica e in Scienze dell’informazione. E’ stato in gioventù un appassionato lettore di fantascienza e oggi legge soprattutto gialli e divulgazione scientifica. Per hobby è allenatore in una società dilettantistica di tennistavolo e effettua d’estate viaggi in altri continenti con la moglie e il figlio piccolo.
ciancio.altervista.org
marcello.ciancio@gmail.com