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Caso Petraeus, il sospetto: “Obama sapeva”. Giuliani: “Nuovo Watergate”

Il caso monta negli Usa, il presidente accusato di aver coperto l'indagine sul direttore della Cia per non compromettere la campagna elettorale. L'esponente repubblicano: "La verità verrà fuori". Sullo sfondo, il caso Bengasi e la morte dell'ambasciatore Stevens. Il portavoce della Casa Bianca Jay Carney: "Presidente sorpreso”

Lo scandalo Petraeus lambisce l’amministrazione Usa e lo stesso Barack Obama. Sono sempre di più le voci – tra i repubblicani, ma non solo – che mettono in dubbio la versione ufficiale secondo cui il presidente venne a sapere della storia extra-coniugale di David Petraeus con Paula Broadwell soltanto il giorno dopo le elezioni. In più, secondo quanto riferito da un alto ufficiale della Difesa statunitense, anche il comandante delle Forze Isaf in Afghanistan, il generale John Allen, è sotto inchiesta per presunte comunicazioni “inappropriate” con Broadwell. Oltre all’Fbi, anche il Dipartimento alla Giustizia e almeno un politico repubblicano di alto livello, Eric Cantor, erano da mesi a conoscenza dell’affaire. Difficile, fanno notare alcuni, che la Casa Bianca non ne fosse stata informata. “Questo rischia di diventare come il Watergate – ha detto l’ex-sindaco di New York, il repubblicano Rudolph Giuliani -. Non importa se ci vorrà uno o cinque mesi. La verità verrà fuori”. Il portavoce della Casa Bianca però, Jay Carney, dichiara che il presidente è rimasto “sorpreso” dalla vicenda. 

Ciò che è emerso con una qualche certezza sino ad ora è che gli alti gradi dell’Fbi e del Dipartimento alla Giustizia furono informati a fine estate 2012 dell’esistenza di un’indagine a carico del generale Petraeus. Sia il direttore dell’Fbi Robert Mueller III che il segretario alla giustizia Eric Holder hanno rifiutato di rivelare quando vennero esattamente a conoscenza dell’indagine. La cosa non può però essere avvenuta a molta distanza dall’inizio dell’inchiesta stessa. Secondo le regole emanate dal Dipartimento alla Giustizia, di cui l’Fbi è braccio operativo, gli agenti devono notificare immediatamente, “quando iniziano a perseguire materie investigative sensibili”.

Secondo la ricostruzione più attendibile, le prime mosse dell’indagine risalgono allo scorso febbraio. E’ allora che Jill Kelley, una trentasettenne di Tampa, Florida, si rivolge a un amico, agente dell’Fbi (il suo nome è restato per ora coperto e stamattina il Wall Street Journal dà notizia della sua rimozione), lamentando l’arrivo nella sua casella di posta elettronica di mail anonime che l’accusano di “flirtare” con Petraeus. La Kelley, che conosce il generale per il suo lavoro di volontaria per i soldati feriti e le loro famiglie alla McDill Air Force Base di Tampa, nega qualsiasi coinvolgimento sentimentale (lo ha ripetuto anche domenica, in un comunicato congiunto col marito: “Siamo da cinque anni semplici amici del generale Petraeus e della sua famiglia”).

La denuncia della Kelley fa scattare l’indagine sulle mail anonime, che coinvolgono oltre all’Fbi anche la “Computer Crime & Intellectual Property Section”, un ufficio del Dipartimento alla Giustizia. Ciò che farebbe supporre un coinvolgimento dell’Attorney General Eric Holder – e quindi forse di Barack Obama – in una fase originaria dell’inchiesta. Le ricerche permettono di risalire, come mittente delle mail, a Paula Broadwell. Un’analisi della casella di posta della Broadwell rimanda a un altro indirizzo mail, con cui la donna si è scambiata per mesi note di passione amorosa. L’indirizzo, anch’esso aperto sotto falso nome, è quello privato del generale Petraeus. A fine ottobre sia la Broadwell sia Petraeus, interrogati dall’FBI, confermano di aver avuto una relazione, che si sarebbe conclusa lo scorso luglio. Petraus nega di aver passato alla donna documenti riservati sulla Cia, trovati nel suo computer.

La difesa di Dipartimento alla Giustizia – che avrebbe saputo soltanto in una fase avanzata dell’indagine – e Casa Bianca – che sarebbe venuta a conoscenza dell’affaire soltanto dopo il giorno elettorale – si basa soprattutto su un dato: gli agenti dell’Fbi responsabili dell’inchiesta avrebbero mantenuto per molti mesi una totale segretezza. In un primo tempo, perché l’indagine si trovava in una fase ancora iniziale e nessuna prova di reato era stata trovata. In un secondo momento, perché l’inchiesta si era conclusa senza aver trovato nulla di penalmente rilevante, né una possibile minaccia alla sicurezza nazionale.

La tesi di un’inchiesta che procede nell’assoluta segretezza appare però difficile da sostenere. Oltre a vasti ambienti di Dipartimento alla Giustizia e Fbi, ne era per esempio informato l’ufficio del capogruppo repubblicano alla Camera, Eric Cantor. Fu probabilmente proprio lo stesso agente che raccolse le confidenze iniziali di Jill Kelley a chiamare il capo staff di Cantor e a parlare poi con lo stesso Cantor, lo scorso ottobre, relazionandolo sulla vicenda.

Ora, è credibile che l’ufficio del capogruppo repubblicano e molti funzionari di Fbi e Dipartimento alla Giustizia sapessero di un’inchiesta a carico del direttore della Cia, e la Casa Bianca di Obama ne fosse totalmente all’oscuro? No, secondo chi in queste ore sta cercando di coinvolgere la Casa Bianca nel caso. L’impresa, portata avanti con particolare determinazione da Fox News, cerca di provocare un serio imbarazzo al presidente proprio all’inizio del secondo mandato, indebolendolo nella fase delle trattative sul “fiscal cliff”. Meno probabile che l’oggetto degli attacchi repubblicani sia il segretario alla Giustizia Holder. Il suo è uno tra i nomi che non verranno riconfermati nel secondo gabinetto di Obama.

Chi punta a un coinvolgimento del presidente offre in queste ore anche una possibile spiegazione di quanto avvenuto. L’esplosione del caso Petraeus prima delle elezioni avrebbe potuto costituire un forte imbarazzo per la Casa Bianca, gettando più di un’ombra sulle capacità di giudizio di Obama nelle questioni di sicurezza nazionale. L’interpretazione, ieri, è stata rigettata come “falsa” da fonti della Casa Bianca, che fanno notare che Petraeus ha sempre goduto dell’incondizionato appoggio di democratici e repubblicani.

C’è però anche chi, come il repubblicano Peter King, chairman del Committee on Homeland Security della Camera, fa notare il “perfetto tempismo” dell’uscita di scena di Petraeus. Il generale, giovedì, avrebbe dovuto testimoniare al Congresso sulla gestione degli attacchi al consolato di Bengasi e sulla morte dell’ambasciatore Stevens. La vicenda resta fonte di imbarazzo per l’amministrazione, accusata dai repubblicani di ritardi negli aiuti a Stevens e di aver addirittura fatto sparire i rapporti che da mesi indicavano la possibilità di attentati nell’area. Le dimissioni di Petraeus, che dunque non testimonierà più, sono secondo King e altri avversari di Obama un modo per non mettere in dubbio la versione ufficiale. Per questo i repubblicani hanno annunciato di voler comunque ascoltare Petraeus, nella sua nuova veste di privato cittadino.