Scienza

L’Aquila: perché gli scienziati non dicono le cose chiaramente?

Avete presente le foche del circo? Quelle che bilanciano una palla di gomma sul naso? Se ci pensate un momento, è una cosa curiosa. Nel loro ambiente naturale, le foche di certo non trovano palle da bilanciarsi sul naso e non hanno nessun vantaggio dal saperlo fare. In effetti, sembra che questa abilità delle foche sia un’eccezione nel regno animale. Non so se qualcuno abbia mai provato a far bilanciare una palla sul naso, che so, a dei facoceri, ma sono abbastanza sicuro che non gli riuscirebbe bene.

Ora, quando si parla di scienziati, il problema è che ci sono delle cose che per loro sono come per i facoceri bilanciarsi una palla di gomma sul naso: ovvero non sono proprio bravi a farle. Una è quella di spiegarsi bene con il pubblico. Pensate alla condanna degli scienziati per il terremoto de L’Aquila. Senza entrare nei dettagli e nelle polemiche, non vi sembra che queste cose non succederebbero se gli scienziati fossero in grado di spiegarsi chiaramente e dire le cose come stanno?

Ci sono delle ragioni per questa incapacità di spiegarsi in pubblico. La principale è proprio come funziona il mondo accademico. La carriera di uno scienziato si basa quasi unicamente sulle pubblicazioni in riviste oscure e inaccessibili al pubblico se non a prezzi incredibilmente esosi. Nessuno insegna ai ricercatori come comunicare e il risultato è che quando si degnano di parlare al pubblico sono spesso noiosi, oscuri e saccenti. In generale, nell’ambiente accademico, la divulgazione viene considerata con sospetto, quasi un segno di fallimento. Insomma, gli scienziati sono dei veri facoceri dell’informazione.

Non che non ci siano delle eccezioni. Ci sono scienziati che appaiono in televisione, che scrivono sui giornali; ce ne sono tanti che tengono degli ottimi blog. Ma sono un po’ come le foche che si bilanciano le palle sul naso: un raro esempio nel regno animale. Nell’accademia, lo scienziato che va in televisione viene guardato come un fenomeno da baraccone, come pure quello che si affanna a tenere un blog. Tempo fa, mi è capitato di parlarne con un collega, prorettore di un’università italiana, il quale ha troncato la discussione dicendomi “io non leggo i blog” con lo stesso tono con cui mi avrebbe potuto dire “io non sono un pedofilo”.

Purtoppo, gli effetti di questo atteggiamento si cominciano a sentire. Il caso delle condanne per il terremoto de L’Aquila non è il solo esempio del clima di sospetto e di sfiducia che si sta sviluppando nei riguardi della scienza e degli scienziati. Ce ne sono altri e forse quello più significativo è il caso del cambiamento climatico. Mentre prima gli scienziati erano spesso criticati con l’accusa di “allarmismo”, adesso si cominciano a vedere messaggi di segno opposto, ovvero con l’accusa di non aver spiegato bene l’entità del rischio che corriamo. Per il momento, è cosa piuttosto infrequente, ma mi sembra in crescita.

Sapete una cosa? Penso che questa critica sia giusta. Il rischio con il cambiamento climatico è ben maggiore di quello di qualsiasi terremoto ed è uno scandalo che così pochi siano gli scienziati che si sentono in dovere di dire in pubblico quello che sanno. Arriveremo, nel futuro, a una condanna penale dei climatologi simile a quella del caso del terremoto de L’Aquila? Non è detto, ma non lo si può nemmeno escludere. Forse non sarebbe una cattiva idea che gli scienziati cominciassero ad allenarsi a tenere una palla in equilibrio sul naso.