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Pussy Riot, Medvedev contro Putin: “Non devono stare in carcere”

Per il primo ministro le tre ragazze del gruppo punk "sono rimaste in cella abbastanza a lungo". La vicenda si riferisce alla preghiera blasfema che la band recitò nella cattedrale ortodossa di Mosca. Ma Putin qualche giorno fa era tornato sull'argomento: "Se viene violata la legge, bisogna reagire"

Presa di posizione del primo ministro russo Dmitry Medvedev sulla vicenda Pussy Riot. L’ex capo del Cremlino, al contrario di quanto sostiene il presidente Vladimir Putin, si è detto infatti contrario a trattenere in carcere le componenti della band punk femminista Pussy Riot, condannate a due anni di campo di lavoro per “teppismo motivato da odio religioso”. “Se fossi un giudice – ha osservato Medvedev citato da Ria Novosti – io non le metterei in prigione. Semplicemente, non ritengo giusto che debbano scontare pene detentive. Sono già rimaste in cella abbastanza a lungo”. Due delle ragazze si sono viste confermare la condanna in secondo grado, mentre la terza ha ottenuto la libertà vigilata. E sulla eventuale liberazione anticipata delle due ragazze Nadezhda Tolokonnikova e Maria Aliokhina, Medvedev si è rimesso alle decisioni di tribunali e avvocati.

Proprio Putin era tornato qualche giorno fa sulla vicenda, non risparmiando nuove critiche al gruppo: “Se restavano a casa a fare i mestieri o se andavano in ufficio a lavorare non sarebbero state coinvolte. Ma se viene violata la legge, allora bisogna reagire”. L’attuale presidente nell’occasione poi ha paragonato il flash mob del gruppo punk a quello del film anti-islamico: “L’autore del film anti-islamico è in prigione negli Usa, mi par di capire. Va bene, ufficialmente lo è per ragioni diverse, ma non ne parla nessuno. E invece tutti parlano di queste ragazze – ha sottolineato Vladimir Putin – che hanno offeso i sentimenti religiosi della gente. Bisognerebbe invece avere il coraggio di adottare lo stesso approccio”.

La vicenda da cui tutto è nato riguarda la preghiera blasfema che il gruppo recitò nella cattedrale ortodossa di Mosca il 21 febbraio scorso. La performance è scaturita anche dal movimento di protesta crescente che dall’elezione del maggio scorso contesta il presidente Putin. L’esibizione ricalcava altre azioni del collettivo come quella sulla Piazza Rossa a gennaio condotta al grido di “Rivoluzione in Russia”, messa in scena all’apice delle proteste, le più imponenti nel Paese da anni, per denunciare le irregolarità durante il voto per la Duma a dicembre.