Giustizia & Impunità

Tortora e o’ animale (io vado a sedermi vicino a Massimo Fini)

Post dell’8.10.2012 aggiornamento in calce *

 “Lo colpii con quaranta coltellate, lo squartai. Azzannai le sue budella e gliele legai alla gola”. A parlare con dovizia di raccapriccianti particolari dell’uccisione di Francis Turatello nel carcere di Nuoro è Pasquale Barra, detto o’ animale, per l’efferatezza dei suoi crimini. Barra era stato appena trasferito nel supercarcere di Benevento e Giuseppe De Lorenzo (nessun parentela con l’ex ministro della Sanità) era un giovane psichiatria. A lui venne affidata la perizia sul boia della Nuova Camorra organizzata che faceva capo a Raffaele Cutolo. Barra fu anche il più accanito accusatore di Enzo Tortora, al quale è dedicata la miniserie in onda su RaiUno.

De Lorenzo che oggi è responsabile del servizio psichiatrico di Diagnosi della Asl di Benevento, mi manda in anteprima il capitolo dedicato al o’ animale del suo prossimo libro: “Quarant’anni tra le sbarre“. Divoro le pagine, negli occhi ho ancora il poco credibile Barra “televisivo”. Del killer spietato Ricky Tognazzi, registra e protagonista de “Il caso Tortora“, ne ha fatto invece una macchietta. De Lorenzo che lo ho conosciuto bene è d’accordo con me: “Una caricatura da sceneggiata napoletana. Quasi un gangster gentiluomo vestito tutto punto in gessato chiaro. Del bruto non esce fuori nulla. Della sua natura da genio del male, da purosangue del crimine”.

La storia la conosciamo tutti: nel 1982, Barra incominciò a collaborare con la giustizia quando si accorse di essere braccato dai suoi ex compari. Nel giugno 1983, scattano le manette per Tortora, trascinato nel fango dalle accuse di Barra e di altri pregiudicati che lo definirono affiliato e responsabile del traffico di droga, dichiarando perfino di aver assistito all’iniziazione del presentatore e che  a “battezzarlo” fu Cutolo in persona. “Con il caso Tortora la giustizia italiana si coprì di vergogna. Si parlò di macelleria giudiziaria. Fu il primo caso di manette spettacolo”, tuonò Giorgio Bocca.  Tortora fu poi assolto dalla Cassazione con formula piena  nel marzo 1988. Ma non riuscì a godersi la sua innocenza ritrovata, divorato dal cancro, morì poco dopo. Barra non mostrò mai alcun pentimento né delle false accuse contro Tortora né dei suoi omicidi. Uccise in carcere Antonio Cuomo, boss di Castellammare di Stabia, Domenico Tripodo, capo della ‘ndrangheta calabrese, Francesco Diana, consigliere comunale di San Cipriano di Aversa, colpito con trentacinque coltellate nel carcere di Aversa, solo per citarne alcuni.

“Aveva un io onnipotente come pochi ne ho visti nella mia lunga carriera di perito psichiatrico -ricorda De Lorenzo- nel nostro incontro in carcere mi sfidava con lunghi silenzi. Si sentiva il padrone del mondo. Non  nego che quando più intensa si faceva la sua partecipazione alla descrizione del suo vissuto, era quasi piacevole ascoltarlo. Il suo discorrere spaziava da un crimine all’altro come in una sequenza cinematografica. Aveva qualità intellettive fuori dall’ordinario. Ne ero come ammaliato.”Cosa scrisse alla fine nella perizia? “. Nel congedarci, l’avvertimento, nel timore, da parte sua, di miei errori di valutazione.”Senti, dottore, io non sono pazzo, tutt’altro, tienilo presente nella tua relazione”. Ed io: “Dichiarando che lei sia sano di mente non le porterò un vantaggio. Non crede?”. A questa mia precisazione, con tono fermo e deciso, aggiunse: “Dottore, lo fai o lo sei? L’essere dichiarato infermo di mente farebbe  crollare, d’un colpo solo, tutta la mia credibilità di uomo d’onore e di collaboratore di giustizia. Ora puoi andare”. E lo congedò come fosse stato un garzone di bottega che aveva finito le consegne.

Tortora diceva: Sono colpevole di essere innocente, innocente fino in fondo. Se fossi stato un po’ colpevole sarei stato anche perdonato!…Forse aveva ragione.

 

 * Aggiornamento del 22 Ottobre 2012

Me lo fa notare un accorto lettore e ci tengo a correggere la mia imprecisione, per amore della professione. Non cerco attenuanti, ma in tutta sincerità, non si tratta solo di una mia inesattezza. Nel post qui sopra, datato  8 ottobre 2012, scrivevo che Giorgio Bocca fu tra i primi a parlare di macelleria mediatica. Sbagliato. L’accorto lettore, Luca Castelli, mi fa notare che a pag. 121 de “Il Conformista” (contro l’anti/conformismo di massa) Massimo Fini titolava il capitolo “Io vado a sedermi accanto a Tortora”. Si trattava di una raccolta di articoli che va dal 1979 al 1990, un’epoca che ci appare nelle sue aberrazioni oggi meno remota di quello che sembra. Leggo la data del “Calcio di Rigore”, la rubrica contro che Fini aveva su Il Giorno: 25 giugno 1983.

Praticamente una settimana dopo l’arresto di Enzo Tortora che avveniva il 17 giugno, con il “mostro” ammanettato sbattuto sulle prime pagine di tutti i giornali. Fini fu il primo, mi ribadisce il lettore, a scrivere profeticamente di non saper «più se sperare che Tortora sia innocente o colpevole. Perché se è colpevole si tratta di un doloroso e clamoroso caso di dottor Jekyll e mister Hide. Ma se è innocente le conseguenze sono gravissime. Perché vuol dire che la “cultura del pentitismo” ha fatto veramente dei grandissimi danni nel nostro Paese, vuol dire che è vero che basta che un mascalzone, purché mascalzone, tiri in ballo il nome di un onest’uomo perché questi finisca in galera… Così l’istinto mi spinge anche oggi a sedermi accanto a Tortora e a sentirlo innocente. Anche se la ragione deve invece augurarsi che sia colpevole». Chiaro?

Gli altri innocentisti, da Bocca a Biagi, verranno solo dopo Fini. Ma come ricorda Indro Montanelli nella prefazione de “Il Conformista”… A Fini gliela faranno sempre pagare calando su di lui una coltre di silenzio: da quando i roghi non usano più è la sorte che attende i conformisti che non si conformano. E’ un vizietto della stampa italiana (e mi ci metto anche io) quello di non approfondire le verità storiche. Doverosa la mia precisazione per un Massimo Fini che Beppe Grillo elogia come “l’ultimo intellettuale vero in circolazione”. Ma lui, finemente conversando, si schermisce: “Spero proprio che non sia così, altrimenti siamo messi proprio male”.

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