Cultura

111 – D’amore, di sesso e di morte

Io credo che il sesso faccia un bel po’ di danni (oltre a tanto bene ovviamente). La fedeltà è un concetto che temo errato, per quanto giustificato da come sono andate le cose alla razza umana da quando si è eretta e ha cominciato a zompettare su due gambe.

Siamo l’unica specie animale (tranne forse una o due eccezioni) in cui il maschio bada, insieme alla mamma, alla crescita dei pargoli. E per più tempo. Fra le altre specie essi si rendono autonomi dopo poco. Questo perché milionate di anni fa l’uomo ha cominciato a diventar tale sviluppando il suo cervello non solo in qualità ma anche in quantità: ovvero ha cominciato a ingrandirsi. E siccome non erano sufficienti i nove mesi nel pancino della mamma per arrivare alla sua dimensione definitiva, a meno di sformarne le pelvi, è andata che per tot anni il nostro cervello cresce dopo che siamo venuti al mondo. 
Ergo si è imposto un periodo assai più lungo prima che i nostri figli diventino del tutto autonomi (qui non c’entrano i mammoni), e questo lungo tempo ha imposto a sua volta che la mamma avesse bisogno della figura paterna per crescerli negli anni: le era giustamente impossibile far tutto da sola. Da qui il sentimento dell’amore, dell’atmosfera famigliare, del focolare domestico, della figura paterna, eccetera. Tutte cose molto, molto belle, tenere e toccanti. Ma il sesso è passione, e la passione rilascia dopamina, e questa ha un suo picco ma poi decade. E quando decade, la cultura (i costumi, le consuetudini, l’amore romantico) pretende che ci si sacrifichi auto-imponendosi la fedeltà. O, il che è anche peggio, che in alternativa si faccia morire una bella storia d’amore complice incentrata su rispetto e dedizione.

Lo so, è un verbo forte e discutibile “sacrifichi”, ma è ciò che penso.

E in nome di questo sacrificio il sesso fa il tipo di danni di cui parlavo.

Senza entrare nel dettaglio, dico soltanto che letteralmente odio quegli uomini (l’80% della razza maschile fedifraga? Più o meno) che tradiscono e/ma che se scoprissero un tradimento messo in atto dalla loro donna si incazzerebbero (eufemismo) dandole come minimo della troia, con quell’intento offensivo culturalmente ed evoluzionisticamente radicato. Il quale ha una sua spiegazione, suggeriscono le mie facoltà intuitive, che però non giustifica chi con l’intelligenza potrebbe cercare di risolvere la problematica in modo articolato, riflessivo, costruttivo, risolutore, e soprattutto non violento
(Ho visto giusto ieri un film super: Summer of Sam, di Spike Lee, con un fantastico Adrian Brody in una parte assai singolare e coinvolgente. Quando il protagonista principale, traditore consolidato, si ritrova con la sua donna in un festino promiscuo, al quale per primo partecipa con voluttà del tutto ragionevole, accade che a un certo punto anch’essa si prenda la sua più che giusta fetta di piacere, per quanto smarrita, intimorita e titubante. La cosa fa andare su tutte le furie lui, biecamente egoista, e, quando saranno in auto verso casa, la assalirà con parolacce vergognose e delirio incontrollabile. Ovviamente le “puttana” e “troia” si sprecheranno. E sarà, altrettanto ovviamente, l’inizio della fine della loro relazione. Peccato, a pensarci bene, che il protagonista sia un italiano emigrato nella comunità new-yorkese. Mannaggia agli stereotipi…) 

Ecco: “111” parla, in prima persona, in una specie di auto-confessione, di un uomo di questo tipo, che giunge a uccidere la sua donna a seguito degli inviluppi e i parossismi di certe esasperazioni la cui causa originaria e remota è il sesso privato della sua componente vitale: la passione.

Non credo sia necessario far notare che gli uxoricidi sono, ogni anno, sorprendentemente tanti, e di conseguenza tanti sono i dementi che li compiono (più gli uomini che le donne, vero, ma ci sono anche le donne…). E, anche quando non si tratta di far fuori qualcuno, quante esistenze vissute male a causa di questo sacrificio!

Forse c’è chi potrebbe convenire con me che il sesso può far molti danni, se vissuto (almeno di facciata, nell’ambito di una relazione) come da copione. E la cosa è rimarchevole.

p.s.1: ho letto in una intervista a Luisa Passerini (studiosa e scrittrice di storia culturale) che Françoise de La Rochefoucauld, scrittore francese del diciassettesimo secolo (1600), disse che ci si innamorerebbe molto meno se non si fosse mai sentito parlare d’amore. Dunque la letteratura produrrebbe sentimento… Interessante no? Fatevi un wiki-giretto qua e notate quante arguzie in queste brevi sentenze. Una delle mie preferite è “L’umiltà è la maggior forma di presunzione”. Avete mai notato, per estensione, quanto spesso si imputi a chi ha una qualche forma di successo l’assenza di umiltà? Che banale forma di invidia! Bah…

p.s. 2: dedico questo secondo post scriptum alla signora Giuseppina Regonelli, che ha lasciato un bellissimo commento a me dedicato in un contesto di ottime riflessioni (e altre lusinghe :) intorno alle considerazioni del mio precedente intervento. Un grazie con punto esclamativo va dunque anche agli artefici di quelle riflessioni costruttive.

111

“Che mostro sono? Che mostro sono?

E non so neanche farmi fuori da me…

No, non so neanche farmi fuori da me”

testo: Cristiano Godano
musica: Cristiano Godano, Luca Bergia, Riccardo Tesio
dall’album ‘Uno’