Diritti

L’Arabia Saudita e la pena di morte

Rizana Nafeek, nata nel 1988 nello Sri Lanka e migrata in cerca di lavoro in Arabia Saudita quando era ancora minorenne, è diventata adulta nel braccio della morte. Vi si trova dal 2007, anno in cui è stata condannata alla decapitazione per aver ucciso un neonato di quattro mesi che le era stato affidato, nella casa in cui aveva preso servizio nel 2005 come baby-sitter.

Come spesso accade nei procedimenti penali del regno saudita, Rizana è stata interrogata e processata senza avvocato e senza interprete. Ha firmato una confessione in arabo, senza capire cosa ci fosse scritto. Per ironia della sorte, avendo falsificato la data di nascita sul passaporto (in Arabia Saudita, i minori non possono lavorare), è stata processata come maggiorenne, sebbene all’epoca dei fatti fosse diciassettenne.

Rizana continua a sostenere che la morte del neonato, rimasto soffocato durante l’allattamento col biberon, è stata una tragedia causata dalla fatalità e dalla sua inesperienza. A continuare a tenerla in vita vi sono i periodici appelli delle organizzazioni per i diritti umani, come Amnesty International e l’Asian Human Rights Commission, e gli sforzi diplomatici del governo dello Sri Lanka.

Stupro, omicidio, rapina a mano armata, traffico di droga, apostasia (ossia, abbandono dell’Islam per un’altra fede religiosa), sodomia, adulterio, stregoneria e corruzione sulla terra sono tra i reati punibili con la morte in Arabia Saudita. La condanna viene eseguita mediante un colpo di scimitarra, spesso in luogo pubblico. Un medico stacca definitivamente la testa dal tronco e le due parti del corpo vengono poi sepolte in una fossa anonima.

Le decapitazioni sono state 82 nel 2011 e 57 nei primi otto mesi e mezzo del 2012.

I condannati a morte in attesa di esecuzione sarebbero oltre 250, molti dei quali lavoratori e lavoratrici migranti provenienti dai paesi africani e asiatici. Sebbene gli stranieri in Arabia Saudita siano meno di un terzo della popolazione, nel 2007 e nel 2008 hanno rappresentato il 50 per cento del totale delle persone messe a morte. Temendo il taglio degli aiuti economici, non sempre i governi dei paesi di origine s’impegnano per impedire il taglio della testa dei loro cittadini.

Sebbene la maggior parte delle esecuzioni avvenga per reati di droga e omicidio, non mancano le teste che rotolano per il reato di “stregoneria”. Abdul Hamid bin Hussain bin Moustafa al-Fakki, cittadino sudanese, è stato decapitato a Medina esattamente un anno fa per aver accettato di fare un incantesimo su incarico di un uomo che lavorava per la polizia religiosa e che poi l’ha prontamente denunciato.

Altre due esecuzioni del genere hanno avuto luogo alla fine del 2011 e nel giugno di quest’anno.

Tra le altre donne in attesa d’esecuzione c’è una seconda cittadina dello Sri Lanka, arrestata nell’aprile di quest’anno a Gedda per aver lanciato una maledizione nei confronti di una ragazzina di 13 anni in un centro commerciale. Questo almeno è quello che sostiene il padre: “Mia figlia ha iniziato a comportarsi improvvisamente in modo strano dopo che si era avvicinata quella donna”.

Tanto potrebbe bastare per far rotolare un’altra testa…