Scuola

Università di Torino, la spending review della democrazia

I baroni universitari sono uomini rotti a tutte le esperienze e difficilmente impressionabili. Una sola cosa li terrorizza al punto di offuscare le loro menti: la democrazia negli atenei. Leggete e ridetene tutti, grazie a Bruno Maida!

Ce le invidiano ormai il Sudan, la Corea del Nord, Myanmar, la Guinea Equatoriale. Osservatori internazionali, si mormora, si sono precipitati a Torino per assistere alle elezioni che all’Università stanno decidendo della composizione dei nuovi organi accademici, primi fra tutti il Senato e il Consiglio di amministrazione. Ancora una volta Torino ha dimostrato di essere la città laboratorio che nel Novecento ha anticipato fenomeni e processi, ma soprattutto capace di rispondere senza alcun tentennamento alle richieste del governo sull’efficienza e sulla spending review. Purtroppo, era già stato tagliato tutto – dalla ricerca al diritto allo studio, dalla didattica alla manutenzione – e così i Grandi Timonieri dell’Ateneo subalpino hanno deciso di risparmiare sulla democrazia.

Forse l’idea l’hanno ricavata da altri due torinesi – sebbene uno, potremmo dire, acquisito – come Elsa Fornero e Sergio Marchionne: i diritti dei lavoratori sono un fastidioso orpello, un ostacolo sulla strada della produttività e dell’efficienza, un vincolo per i mercati, un noioso rituale di una democrazia vecchia e tutt’altro che up to date. E allora i vertici dell’Università hanno deciso che era giunto il momento di una vera innovazione: non rendere noti i candidati alle elezioni. Perché perdere tempo con dibattiti elettorali, confronti sui programmi, riflessioni pubbliche sui destini dell’Ateneo? Meglio andare la mattina alle urne e leggere i nomi su un foglio appeso fuori dal seggio, senza nessuna altra indicazione. La legge impone che i nominativi dei candidati siano pubblicati almeno otto giorni prima. I Grandi Timonieri lo hanno fatto meno di diciotto ore prima.

Pressato da un telegramma del Coordinamento dei Ricercatori, che chiedeva l’invalidazione delle elezioni, e da una serie di proteste – molto sotterranee, come nella migliore tradizione universitaria – il Magnifico e Immaginifico Rettore ha scritto una lunga lettera, ovviamente a urne aperte, spiegando ai sudditi che condivideva “la fatica e i problemi che stiamo incontrando nell’applicare procedure e procedimenti che non hanno disciplinato alcuni aspetti anche importanti” e che è fiducioso che verranno trovate soluzioni (in futuro) per risolvere il problema. Il che, oltre a non essere vero, derubrica una violazione patente dei diritti degli elettori a un semplice disguido.

Saremmo però ingiusti se non ricordassimo che i Grandi Timonieri un risparmio concreto, in euro, lo hanno realizzato. I docenti e i tecnici-amministrativi sono stati infatti chiamati a votare anche un Comitato che dovrà selezionare le candidature per il Consiglio di amministrazione. Un Comitato nel quale sono presenti ricercatori, professori associati, professori ordinari e tecnici-amministrativi. Ognuno vota per i propri rappresentanti, ma le schede sono praticamente identiche (colore  incluso) e i voti finiscono tutti nella stessa urna. Possiamo solo immaginare quanta fatica faranno gli scrutatori per verificare scheda per scheda se, per esempio, un ricercatore non abbia votato per un ordinario. Ma un cosa la sappiamo: l’efficiente e moderna amministrazione dell’Ateneo torinese ha risparmiato su una quarantina di scatole di cartone. Di quelle che ci facciamo dare al supermercato quando dobbiamo traslocare. E prenderlo come un suggerimento?

Bruno Maida