Politica

Dov’è finito il conflitto di interessi?

Sui dirigenti del Pd prevalgono due scuole di pensiero. Una li considera un gruppo autoreferenziale, che ha perso il contatto con la realtà e campa di rendita sul voto di chi, per contrastare (peraltro vanamente) Berlusconi, si tura tutti gli orifizi (e distoglie lo sguardo dalle varie schifezzuole dei vari Penati, Tedesco, Errani, Lusi, Bassolino e compagnia). Si tratta del giudizio brutale, plateale e profetico di Nanni Moretti a Piazza Navona oltre 10 anni fa.

La seconda scuola asserisce che sono in combutta con il Caimano per motivi oscuri o inconfessabili. Infatti lo hanno sostenuto anche quando poteva essere cancellato dalla vita politica (Bicamerale docet). E’ una scuola che ha la sua Accademia nel blog di Beppe Grillo (vedasi alla voce “Pdmeno elle”).

Finora è stato arduo verificare quale ipotesi rispecchiasse più fedelmente la realtà, ma l’attuale fase politica ci consente di effettuare un test empirico. Da mesi ci si arrovella sulla riforma elettorale che è giustamente una priorità. Però ad essa va aggiunto un pezzo incommensurabilmente più importante: la legge sul conflitto di interessi e quella per spezzare il duopolio televisivo (che agli effetti pratici configura un monopolio). Però tutto il sinedrio del Pd (inclusi il nuovo ciambellano Vendola e l’aspirante rottamatore Renzi) su questo tema rimane muto.

Allora ecco in cosa consiste il test sulla buona fede dei dirigenti Pd. Se continuano ad ignorare il conflitto di interesse a causa della loro dabbenaggine o della loro smemoratezza, allora i militanti e l’opinione pubblica dovrebbero ricordarglielo con determinazione. Se la pressione della società civile, o semplicemente della logica e dell’onestà verso gli elettori, non desse frutti allora verrebbe validata la teoria del “Pdmeno elle”.

Conosciamo l’obiezione con cui cripto-berlusconiani cercheranno di allontanare il calice amaro. Diranno che in parlamento non c’è una maggioranza favorevole alla legge. E’ la giustificazione che adottano da quasi venti anni, ma questa volta sarebbe palesemente patetica. Innanzitutto un numero vasto di deputati e senatori eletti nel PdL si sono sganciati e stanno tentando di riciclarsi dove possibile. Sapendo che un atto di fedeltà al vecchio padrone brucerebbe ogni possibilità di sopravvivenza politica, in un voto palese non esiterebbero a infliggere il colpo di stiletto.

E poi ci sarebbe la Lega. Finora Maroni e la sua banda mal rappezzata sono riusciti ad imbonire gli ultimi pasdaran di Pontida con la panzana di essersi affrancati dal vassallaggio al Cavaliere e di puntare ai luminosi orizzonti federalisti una volta usciti dall’euro. Se però su una materia così incandescente dimostrassero ancora una volta di essere gli zerbini infangati di Arcore, ogni speranza di recupero elettorale seguirebbe il destino del Trota.

Insomma sussistono ottime possibilità di seppellire ogni velleità di revanchismo berlusconiano togliendogli le tre reti televisive (senza contare i supporter ancora annidati in Rai) da cui si appresta a lanciare la controffensiva. Se anche questa volta i maggiorenti del Pd rifiutasser di grippare il motore del consenso berlusconiano, confermerebbero i peggiori sospetti sulle loro relazioni con Arcore o sulla loro ricattabilità.

E questo discorso vale anche, anzi a fortiori, per Matteo Renzi, che avrebbe un’occasione aurea per dimostrare di rappresentare sul serio un fenomeno nuovo e al contempo zittire i critici che gli contestano la capatina furtiva nel tempio del Bunga Bunga.