Politica

Sanità: Bindi contro Bindi

Avviso ai naviganti: i primi post di questo blog servono a illustrare in parte i problemi e gli errori che hanno portato la sanità italiana allo sfacelo attuale e a preparare il terreno ad alcune proposte, che verranno affrontate dettagliatamente argomento per argomento.

La Bindi, sull’Unità del 17 agosto, spera per il futuro della sanità nella clemenza di Monti. Dice che “l’Italia è stremata” e che la sanità come altri settori “non è più in grado di sostenere altri sacrifici”. E ha ragione. Ma da chi ha fatto il ministro della salute ed è stata nel ’99 l’autrice di una importante riforma di sistema mi sarei aspettato qualcosa di più. All’ultima riunione del Pd sulla sanità (9 luglio) tutti erano imbufaliti per la spending review indicando con il dito quell’orlo oltre il quale vi è “l’abisso sbadigliante”.

Ma alla fine quell’orlo il Pd l’ha oltrepassato. Approvando la manovra in parlamento, questo partito riformista, si è preso la responsabilità storica di liquidare questa sanità pubblica.

Possibile mai che a “saldi invariati”, come ha detto Monti, il Pd con quattro ministri alla Sanità al suo attivo, tanti assessorati, posti di prestigio negli apparati pubblici, ecc, non sia riuscito a suggerire neanche una parvenza di idea? E che la famosa “Ragion di Stato” abbia finito con l’annullare una cultura, una intelligenza e una straordinaria storia riformatrice? Che fine ha fatto il riformismo sanitario del Pd e più in generale della sinistra?

Premetto che rispetto al diritto alla salute, resto convinto che non esista ragione di Stato che giustifichi la sua liquidazione in particolare se sono disponibili delle alternative, cioè altre politiche possibili. Credo che la civiltà che questo diritto comporta può essere uccisa solo dall’inciviltà che subentra qualora si esauriscono valori, culture, idee, che, in nome di un finto e fallace realismo, smette di sognare e che soprattutto, lo so sulla mia pelle, vive con fastidio chi vuole continuare a farlo. Nel Pd vedo l’esaurirsi di un sogno, non dovuto alla sua irrealizzabilità, ma al sognatore che ha smesso di sognare.

Quelli che conoscono la sanità sanno bene che alla manovra di Monti si sarebbero potute controproporre ben altre politiche, ma il Pd non l’ha fatto perché semplicemente non ha altre politiche da proporre. Quelle che ha sono state definite nel ’99 proprio dalla riforma Bindi sulla razionalizzazione del sistema ma che oggi agli occhi di Monti sono chiaramente insufficenti. Altrimenti non farebbe i tagli linerari così draconiani. Nel ’99 lo scontro diritti/risorse era già molto forte e la Bindi, allora ministro della Salute, lo capì e con grande impegno mise in campo una proposta di riforma nel tentativo di salvaguardare per lo meno la natura pubblica del sistema. Ma far passare una riforma della sanità con i tanti interessi in gioco, è tosta. I calli che si rischia di pestare sono tanti e obtorto collo, si è costretti a mediare con i grandi interessi in gioco, cioè con quei poteri che in cambio del loro consenso pretendono che non si cambi niente.

Quello che alla fine venne alla luce con il consenso di quei poteri fu un capolavoro di “riformismo conservatore” interamente giocato non sull’idea di cambiamento ma su quella molto debole di razionalizzazione dello status quo. Restrizioni economiche, altra domanda di salute, modelli assistenziali superati, incapacità delle Regioni, conservatorismo dei sindacati che loro malgrado cooperarono creando una situazione che oggi per impotenza e disperazione ci ha portato ai tagli lineari. Il governo Monti, con il paese alla canna del gas, ormai ha spazzato via la riforma Bindi perché non crede né alla razionalizzazione né alle capacità razionalizzatrici delle Regioni, delle aziende.

Oggi la vera responsabilità del Pd è che per stare ai fatti ha rinunciato ai contro fattuali, per mettere delle pezze alle prospettive infauste ha rinunciato alle contro-prospettive, per stare nei mondi reali ha dimenticato che esistono i mondi possibili, per essere razionale non sa essere ragionevole. Nessuno che sia ragionevole può negare la drammaticità della crisi che a certe condizioni, lo dico senza peli sulla lingua, sarebbe una grande occasione per fare pulizia. Magari si facesse per davvero la spending review. Quanta robaccia si potrebbe eliminare e che i tagli lineari di Monti mantengono proprio perché lineari. Oggi il Pd non è in grado di definire un nuovo sistema sanitario che renda compossibili non compatibili i diritti con le risorse e questo rende la crisi ancor più critica, ancor più complessa. Se il problema è funzione del solutore il problema diventa irrisolvibile se il solutore è senza idee o se le sue idee sono inadeguate. Con le mediazioni che la riforma Bindi dovette ingoiare, il riformismo sanitario smise di sognare mancando per l’ennesima volta all’appuntamento con il cambiamento. Accanto a cose molto discutibili, tutti gli “ismi” furono confermati, proprio quelli che la Bindi avrebbe voluto cambiare: il primato della gestione (gestionalismo), l’idea che il pubblico fosse amministrabile come il privato (aziendalismo), l’adattamento spasmodico della sanità ai limiti economici (compatibilismo), gli aggiustamenti di modelli ormai da cambiare (marginalismo).

Conoscendo la sensibilità politica della Bindi penso che in quella riunione di partito non le sia sfuggita la schizofrenia della situazione: il ministro della Salute in carica, un suo uomo, che spiegava le ragioni dei tagli lineari, e un partito prigioniero di un finto riformismo umiliato e delegittimato proprio dai tagli lineari. Bindi contro Bindi. Si tratta di correggere il tiro e di porre mano a un nuovo pensiero riformatore ma se per la resipiscenza serve onestà intellettuale per le idee servono intelligenze libere di esserlo.