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Usa, Mitt Romney prende le distanze, ma la base radicale insiste: “Aborto mai”

In vista della Convention che si svolgerà dal 27 al 30 agosto a Tampa, i repubblicani hanno elaborato il cosiddetto "documento dei 100" in cui ribadiscono che l'interruzione di gravidanza non è mai consentita nemmeno “in caso di stupro, incesto o pericolo di vita per la donna”. Una posizione che mette in imbarazzo il candidato alla presidenza contro Barack Obama

Aborto, mai. E’ la posizione che emerge nel documento elaborato dal partito repubblicano Usa alla vigilia della Convention che si svolgerà dal 27 al 30 agosto a Tampa. L’aborto non può mai essere giustificato, dicono i repubblicani, nemmeno “in caso di stupro, incesto o pericolo di vita per la donna”. La posizione è fatta per attirare i consensi di conservatori e religiosi, ma mette ancora una volta nei guai il candidato alla presidenza, Mitt Romney, preoccupato che le posizioni troppo rigide del suo partito allontanino gli elettori moderati e indipendenti.

La nuova “bomba” aborto è deflagrata nel partito repubblicano dopo le dichiarazioni di Todd Akin, candidato del partito per un posto da senatore in Missouri, secondo cui il corpo delle donne “in caso di stupro vero e proprio, può fare in modo di evitare la gravidanza”. Ancora nel pomeriggio di martedì Akin ha annunciato di non voler ritirare la propria candidatura, come gli hanno chiesto Romney, il candidato alla vicepresidenza Paul Ryan, il chairman repubblicano Reince Preibus e altri rappresentanti di primo piano del partito. Di fronte all’indignazione generale, Akin si è limitato a chiedere scusa. Ha ammesso che “lo stupro è sempre uno stupro” e spiegato di aver usato “le parole sbagliate nel modo sbagliato”.

Scegliendo di non ritirarsi dalla gara elettorale, Akin deve del resto aver fatto un semplice calcolo politico. Al di là dell’indignazione di facciata, molti nel partito repubblicano sembrano infatti pensarla come lui. Mentre si sviluppava il suo dramma, tutti i 100 membri del Comitato incaricato di redigere la piattaforma repubblicana (Gop) in vista della convention di Tampa si scagliavano contro ogni tipo di aborto, chiedendo che il Congresso approvi un “Human Life Amendment”, a difesa dei non-nati, e allunghi il periodo di attesa per le donne che chiedono di interrompere la gravidanza.

Il documento dei 100, identico a quello usato alla vigilia delle elezioni del 2004 e del 2007 e fatto per entusiasmare le frange più conservatrici e religiose, è stato accolto con freddezza e preoccupazione dal team di Mitt Romney. L’ex-governatore del Massachusetts teme infatti che un troppo radicale rigetto dell’aborto possa allontanare gli americani ancora indecisi sul voto di novembre, quelli che non sono soddisfatti di Barack Obama ma che non gradiscono neppure un partito repubblicano nelle mani degli oltranzisti conservatori. Il deciso spostamento a destra del Gop emerge del resto in queste ore anche in altre due decisioni assunte in vista della Convention di Tampa: la difesa a oltranza del “matrimonio tradizionale” e il rigetto non soltanto dei matrimoni gay ma anche delle unioni civili; l’ulteriore inasprimento delle misure contro l’immigrazione illegale, con la richiesta di un muro a protezione totale del confine meridionale degli Stati Uniti.

E’ però sulla questione dell’aborto che Mitt Romney rischia di più. Il candidato repubblicano, all’inizio della sua carriera politica, era a favore del diritto di scelta delle donne. E’ stato soltanto in una fase più recente, soprattutto con la scelta di correre per la presidenza, che Romney ha modificato la sua posizione, diventando rigidamente “pro-life”. Il passato però resta, e la scelta attuale potrebbe essere vista come l’ennesimo giro di valzer di un candidato furbo, poco coerente, pronto a tutto – anche a clamorosi ravvedimenti sui temi morali – pur di conquistare qualche voto.

C’è però dell’altro. In questa fase della campagna elettorale, Romney ha bisogno di apparire moderato, senza perdere quello zoccolo duro di voto conservatore che ha fatto tanta fatica a conquistare e che resta estremamente sospettoso nei suoi confronti. “Romney non è il nostro candidato”, era lo slogan più spesso invocato durante le primarie dai conservatori, che di volta in volta hanno contrapposto a Romney un loro favorito: Michele Bachmann, Hermann Cain, Newt Gingrich, Rick Santorum. Alla fine Romney l’ha spuntata, riuscendo a riunire il partito grazie a un radicale spostamento a destra del suo asse politico (la scelta di Paul Ryan come vice è stato l’ultimo e più clamoroso atto in questa direzione).

Ora però Romney ha bisogno di focalizzare la campagna sui temi economici, il vero tallone d’Achille di Barack Obama. Qualsiasi distrazione rispetto al copione prestabilito rischia di indebolirne la candidatura e avvantaggiare l’avversario democratico. Ecco dunque il fastidio con cui la campagna di Romney ha accolto prima lo scandalo Akin e poi il documento anti-aborto dei suoi colleghi di partito (“No comment”, è stata la secca reazione del suo portavoce). Ed ecco l’entusiasmo con cui Obama e i democratici si sono gettati nella nuova discussione sui diritti delle donne, che consente di rappresentare Romney e i repubblicani come un manipolo di radicali, lontani da cultura e preoccupazioni della maggioranza degli americani. “Le donne americane sanno che Mitt Romney, Paul Ryan e il partito che essi guidano sono la scelta sbagliata per le donne e per le famiglie americane”, è stata la dichiarazione con cui i democratici hanno reagito all’ennesima crociata anti-aborto dei conservatori americani.