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Assange parla dall’ambasciata: “Obama rinunci alle accuse contro Wikileaks”

Prima apparizione dopo due mesi dell'attivista australiano che chiede al presidente degli Usa di fermare la "caccia alle streghe": "La condanna delle Pussy Riot sono un esempio di unità nell'oppressione e noi dobbiamo essere uniti contro l'oppressione". Critiche al ministro degli Esteri inglese: "Ignorò i consigli dei legali del Foreign Office"

“L’Ecuador, una coraggiosa nazione, ha preso una posizione per la giustizia”. Lo ha detto Julian Assange dal balcone dell’ambasciata ecuadoriana a Londra, la prima apparizione in due mesi del capo di Wikileaks.

Assange si è rivolto direttamente al presidente degli Stati Uniti Barack Obama, chiedendogli di rinunciare alle accuse contro l’organizzazione che negli ultimi anni ha pubblicato informazioni secretate dalle diplomazie di molti Stati. “Deve finire la guerra contro Wikileaks” ha detto Assange, perché “chi minaccia Wikileaks minaccia la libertà di espressione”. L’attivista australiano ha ringraziato anche il popolo Usa, britannico, australiano e svedese “per avermi appoggiato anche se i loro governi non lo hanno fatto”. Basta caccia alle streghe, ha chiesto Assange, che ha tra l’altro chiesto che sia liberato Bradley Manning, un giovane militare finito in carcere negli Stati Uniti con l’accusa di essere una fonte di Wikileaks: “E’ un eroe e deve essere liberato”. La condanna di Pussy Riot a Mosca è un esempio di “unità nell’oppressione – ha aggiunto – C’è unità nell’oppressione. Ci deve essere determinazione e unità nella risposta”.

Assange, come hanno raccontato giornali e tv da settimane, si è rifugiato due mesi fa nella sede diplomatica di Quito e la scorsa settimana ha ottenuto l’asilo politico: una vicenda che va avanti ormai da molti mesi. Ha parlato per 6-7 minuti dal balcone dell’ambasciata dell’Ecuador di Knightsbridge e non poteva in teoria fare dichiarazioni politiche (è una condizione dell’asilo concesso dall’Ecuador) ma le critiche fatte a vari governi, e quello degli Stati Uniti in particolare, erano politicamente provocatorie.

Assange è in uno stato d’animo “combattivo”, ha detto il suo avvocato Baltasar Garzòn fuori dall’ambasciata dell’Ecuador a Londra da dove è attesa anche una dichiarazione dello stesso Assange dall’interno della sede diplomatica. Assange ha peraltro incaricato il suo legale di “aprire un’azione legale per proteggere i diritti legali di Wikileaks e Julian Assange stesso”. Il leader di Wikileaks – ha detto Garzon – è grato al popolo ecuadoregno e al presidente Rafael Correa per avergli concesso l’asilo.

Nella notte intanto è arrivato dai Paesi dell’Alleanza Bolivariana il fermo sostegno all’asilo politico e un severo monito sulle “gravi conseguenze” internazionali nel caso di un’irruzione della Gran Bretagna nell’ambasciata di Quito a Londra. Gli stati dell’Alleanza Bolivariana per i Popoli della Nostra America (l’Alba) sono Ecuador, Venezuela, Bolivia, Cuba, Nicaragua, Dominica, Saint Vincent e Grenadines e Antigua e Barbuda.

Intanto sembra sempre più nell’angolo il ministro degli Esteri britannico William Hague. Già redarguito nei giorni scorsi sia dal premier David Cameron sia dal suo vice Nick Clegg per non essere stato equilibrato nella gestione dell’affaire Assange, oggi è emerso che il ministro ignorò il consiglio dei legali del Foreign Office quando fece arrivare all’Ecuador la minaccia di un raid nell’ambasciata ecuadoregna.

I legali del ministero degli esteri avevano espresso forti riserve, ha appreso l’Independent on Sunday: uno degli avvocati in particolare aveva messo in guardia Hague su potenziali azioni di rappresaglia contro le ambasciate britanniche all’estero se nella nota fosse stato incluso il riferimento alla legge del 1987 Diplomatic and Consular Premises Act che avrebbe autorizzato la Gran Bretagna a violare l’immunità diplomatica della missione ecuadoregna per arrestare il capo di Wikileaks. Hague andò avanti ugualmente e la nota fu consegnata a Quito alla vigilia della decisione dell’Ecuador di dare all’australiano l’asilo politico.