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Ilva, Clini: “L’impianto a Taranto non va bloccato ma reso sostenibile”

Nel giorno dell'incontro col governatore Nichi Vendola per definire gli interventi urgenti di bonifica, il ministro sottolinea che "non sarebbe un gran risultato costringere le aziende ad abbandonare un sito perché le prescrizioni ambientali non sono adeguate dal punto di vista economico"

Per il ministro Corrado Clini la strada da percorrere è chiara: l’Ilva di Taranto “non va fermata. Il giudizio sui rischi connessi ai processi industriali dello stabilimento va attualizzato”. Al Sole 24 Ore il ministro dell’Ambiente spiega che “è arrivato il momento di lavorare insieme e di fare riposare gli avvocati”, nel giorno dell’incontro al ministero col governatore della Puglia Nichi Vendola per la definizione dell’intesa sugli interventi urgenti di bonifica, riqualificazione e infrastrutturazione della città di Taranto. 

Video – Operai Ilva: “Situazione insostenibile”

L’intesa tra governatore di Puglia Nichi Vendola, il presidente della provincia ionica Gianni Florido e il sindaco di Taranto Ippazio Stefano conterrà gli obiettivi, le risorse finanziarie e gli strumenti attuativi per la bonifica della città dei due mari. La Puglia dovrebbe stanziare 100 milioni di euro e altri 200 milioni dovrebbero arrivare dal governo. Una valanga di soldi pubblici che dovrebbe servire a riparare gli ingenti danni ambientali causati dalla fabbrica, di proprietà dello Stato dal 1965 al 1993 e poi venduta al Gruppo Riva. Danni accertati dalle perizie epidemiologica e ambientale: relazioni disposte dal gip Patrizia Todisco che hanno messo nero su bianco la preoccupante situazione tarantina e l’elevato numero di morti per cause derivanti dalle emissioni industriali soprattutto nel quartiere Tamburi, il più vicino alla fabbrica.

Secondo Clini “la situazione dell’Ilva di 10-15 anni fa era molto diversa da quella attuale. Oggi si può dire che l’Ilva è uno stabilimento in cui è in atto un processo di trasformazione della produzione per renderla adeguata agli obiettivi nazionali e alle direttive europee. Il giudizio deve tenere conto del lavoro fatto fino a oggi e dunque della possibilità concreta che esiste di completare il percorso iniziato per rendere l’impianto sostenibile”. Il ministro dell’Ambiente, tuttavia, pur sottolineando i cambiamenti della situazione all’Ilva rispetto a 15 anni fa, sembra non tener conto proprio di quanto emerso dalla perizia epidemiologica disposta dal gip e, soprattutto, agli anni a cui si riferisce, ovvero dal 2004 al 2010. Non solo. La presa di posizione del ministro Clini, inoltre, appare tardiva specie alla luce di quanto accaduto agli inizi di febbraio scorso, quando il procuratore capo di Taranto, Franco Sebastiodopo la maxi perizia sulla condizione ambientale nel capoluogo ionico rispetto alle emissioni industriali dello stabilimento siderurgico, scrisse proprio al ministro per comprendere “quali saranno i provvedimenti da adottare per risolvere la situazione ambientale”

La risposta, tardiva, è arrivata qualche giorno fa nel corso del vertice a Palazzo Chigi e ripetuta nell’intervista al giornale di Confindustria. La soluzione, infatti, per Clini è una: “Anche la Regione Puglia, come la Provincia e il Comune di Taranto, stanno facendo la stessa cosa, perché esiste un obiettivo comune: lavorare insieme per avviare le iniziative da prendere per il risanamento ambientale e la riqualificazione industriale dell’intera area”. La strategia suggerita è quella di concordare “un piano di azioni insieme” per “riprendere il percorso già iniziato. Nella consapevolezza che gli interventi devono tenere conto della competitività dell’impresa: non sarebbe un gran risultato costringere le aziende a chiudere e ad abbandonare un sito perché le prescrizioni ambientali non sono sostenibili dal punto di vista economico”.