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Ue, Polonia chiede 7 mld per centrali a carbone. Ma ci sono solo campi di mais

L’impianto di Łęczna, la cui “costruzione è ancora in atto”, aveva assicurato Varsavia, in realtà non esiste. Nel punto in cui dovrebbe sorgere il cantiere agricoltori ignari coltivano come ogni estate il loro mais. Il governo polacco si oppone, insieme ad altri, ai tentativi comunitari di ridurre le emissioni di CO2 dell’80-95% entro il 2050

Chiedere soldi a Bruxelles per finanziare strutture inesistenti? Succede sempre più spesso, e non solo in Italia. Come rivelato da un’investigazione del portale comunitario EurActiv, il governo della Polonia ha richiesto all’Ue sette miliardi di euro in quote gratuite per lo scambio di emissioni delle centrali a carbone. Che, però, in certi casi neppure esistono. Come l’impianto di Łęczna, la cui “costruzione è ancora in atto”, aveva assicurato Varsavia. Anche se in quell’area al di là di “prati verdi, campi coltivati e strade di campagna […] non si trova nessun edificio, installazione o altra attività collegabile a una centrale”. E nel punto in cui dovrebbe sorgere il cantiere agricoltori ignari coltivano come ogni estate il loro mais. Ormai è chiaro: cercare di frodare il sistema Ue chiedendo soldi per cantieri fantasma non è una prerogativa italiana. Nonostante il nostro paese abbia collezionato nell’ultimo mese smacchi notevoli, come il blocco da parte di Bruxelles dei fondi alla Sicilia per “gravi carenze nei sistemi di controllo”, o la condanna a rimborsare gli ultimi 382 milioni di euro sprecati nell’infinito cantiere della Salerno-Reggio Calabria (soldi che in quanto già spesi verranno sborsati dai contribuenti italiani), a fare andare su tutte le furie le Istituzioni europee in questi giorni ci hanno pensato la Polonia e il gruppo francese Gdf Suez.

Nella “sonnolenta” regione polacca di Łęczna’s Stara Wieś-Stasin, sul confine ucraino, un’investigazione ha smascherato l’ennesimo tentativo di spillare soldi all’Unione. Nel giugno del 2011, infatti, il gruppo energetico Gdf Suez ha richiesto 33 milioni di euro per la costruzione in quella zona di una nuova centrale a carbone. Ovviamente d’accordo il governo di Varsavia che, però, non si è mai preso la briga di andare a controllare se il cantiere esisteva veramente. “È impossibile controllare tutti i siti per cui ci si aspettano i fondi della Deroga 10c”, si difende il ministero dell’Ambiente polacco: “Ma se la Commissione europea ha stabilito che alcune società hanno violato le regole, Varsavia accetterà le decisioni di Bruxelles”. La “Deroga 10c”, destinata alle strutture la cui costruzione era iniziata prima del 31 dicembre 2008, è un modo ideato per aiutare i 10 nuovi Stati membri dell’Unione europea a “modernizzare, diversificare e rendere più pulito il loro settore elettrico”. Un tentativo di agevolare questi Paesi che, però, si sta rivelando un’altra pecca del mercato delle emissioni (Emissions Trading), lo strumento amministrativo studiato per controllare e ridurre le emissioni di gas serra a livello internazionale, grazie alla loro quotazione monetaria e al commercio delle quote di emissione fra Stati.

Ad avvisare l’Ue di questa mancanza di trasparenza ci aveva pensato già un anno fa l’associazione ambientalista Client Earth. Che, in occasione dell’insediamento polacco alla presidenza di turno dell’Unione, aveva messo Bruxelles in allerta sui tentativi di far cassa grazie ai fondi della 10c. Non solo a Łęczna: secondo il legale dell’Ong, Piotr Turowicz, in Polonia erano ben 13 gli impianti che non avevano le carte per ricevere il supporto economico previsto dalla Deroga. All’origine del tutto ci potrebbero essere barriere linguistiche e fraintendimenti legislativi da parte di Varsavia. Ma il dubbio di una scelta deliberata di supportare i combustibili fossili può sorgere, se si pensa che la Polonia è uno dei Paesi che si oppone maggiormente ai tentativi comunitari di ridurre le emissioni di CO2 dell’80-95% entro il 2050. Una nazione che a tutt’oggi produce il 95% della sua elettricità grazie al carbone, e che per “proteggere le sue industrie” ha esplicitamente asserito di volere reinvestire il denaro raccolto con la 10c in nuove centrali sempre a carbone, ma dalle ridotte emissioni di CO2 rispetto a quelle rimpiazzate.

Da Bruxelles le autorità fanno presente che le analisi su questa vicenda “saranno presto concluse”. Sperando che, poi, non se ne ripetano di simili, vista la situazione analoga riscontrata solamente dieci giorni fa nella Repubblica Ceca. Che, in seguito alle accuse di irregolarità contenute in un rapporto dell’associazione ambientalista Els di Brno, rischia di vedersi temporaneamente sospesa dalla ricezione dei fondi 10c, insieme anche a Romania e Bulgaria. Per l’eurodeputato liberal-democratico Chris Davies, che si è sentito “oltraggiato” dall’assenza di lavori nel sito polacco di Łęczna, questi “sporchi trucchi” sono un evidente “tentativo di ingannare il sistema”. “Ci dovrebbe essere una regola sola per l’intera Europa”, afferma l’europarlamentare: “Nessuna eccezione, nessun se e ma, e nessun vantaggio per i peggiori inquinatori”. E avverte: “Si diffonderà una rabbia enorme se la Commissione europea troverà il modo di reinterpretare le norme per favorire la Polonia”. Una rabbia che, in questo periodo, i cittadini dell’Unione hanno già abbastanza motivi di provare.