Cultura

Ai WeiWei: l’artista cinese Never Sorry, maestro di blog e twitter

Ai WeiweiAi WeiWei, artista cinese di fama internazionale, mormora: non posso parlare, scusate, e gentilmente respinge fuori della porta di casa i giornalisti che si accalcano . E’ appena stato rilasciato  dalle autorità cinesi, dopo 81 giorni di sequestro in un luogo non rivelato.

Sono le ultime immagini del film-documentario Never Sorry, finalmente arrivato anche a Firenze grazie all’ottima rassegna Lo Schermo dell’Arte. Girato dal 2009 al 2011 sulla sua vita artistica e privata. Aspetti così strettamente connessi che quasi mi vien da dire vita e basta.

Il film ruota proprio addosso a lui, lo veste come un abito, e ti  fa immediatamente  innamorare  di quel bel corpaccione, dei suoi gatti sapienti, della casa studio, delle sue donne, del minuscolo figlio, del coraggio e della paura da teppista della libertà di espressione. Dei suoi progetti poetici e tenaci (l’elenco dei  nomi degli oltre 5000 bambini morti nelle scuole-tofu durante il terremoto nel Sichuan e occultati dal governo).

Blogger geniale (oscurato nel 2009, ma c’è un libro),  maestro di twitter (impeditogli dal 2011). Nuovissimi media usati da lui come  armi, più per difendersi che per attaccare. Consapevole che il potere politico è il più forte, e che prima o poi l’avrebbe fatto smettere di giocare, ha comunque giocato la sua partita.

“sono meno di un giocatore di scacchi” dice di sè all’intervistatore.

E’ vivo, menomale, pensi. Non sembra nemmeno troppo smagrito. Però quello sguardo, quando si chiude dietro la porta. Quello sguardo. L’hai già visto, si, e ti ricorda dolorosamente qualcosa, qualcun’altro. E lì ti piglia un magone tremendo, esci dal cinema affranta, arrabbiata, no, non non mi va di parlarne, a bere andateci voi, io torno a casa a piedi vediamo se mi placo.

E ti viene in mente, poi, camminando. Era lo sguardo di Jack Nicholson, nel Nido del Cuculo, alla fine, su quella panchina, lobotomizzato. Era lo sguardo di Primo Levi. Sei ancora vivo, ma hai visto l‘orrore, puoi ancora parlare, lavorare, certo, fare anche cose bellissime ma. Ma non sei più te. Ti hanno spezzato, hanno vinto loro. Forse.

Il film girerà nei cinema, nei teatri. Mi piacerebbe davvero che lo andaste a vedere. Si trova anche dalla Feltrinelli. Io penso che lo farò vedere agli allievi dell’Accademia, alla prima lezione di quelli del primo anno. Così per ricordarci, da subito, che l’artista oggi ancora più di ieri, può avere un potere inaudito e, sempre, un altrettanto smisurata fragilità.