Fifa, via libera al velo per le calciatrici musulmane. Ma la Francia dice no

Oltre all'ok alla tecnologia in campo, l'International Football Association Board ha approvato anche un altro provvedimento che però sta creando divisioni e provocando veti. Come ad esempio quello della federazione transalpina, che ha deciso di andare contro la decisione

Tecnologia o tradizione, le scelte della Fifa continuano a far discutere. L’ultima riunione dell’International Football Association Board (la stessa che ha ufficialmente sdoganato l’uso della tecnologia nel calcio) ha votato anche un altro provvedimento, a suo modo ugualmente storico: le giocatrici musulmane, qualora lo vorranno, potranno indossare il velo. Quello parziale, lo Hijab, che copre soltanto capelli e collo lasciando scoperto il volto. Ma anche così non si tratta di una concessione da poco. Fino a ieri, infatti, esisteva a riguardo un veto categorico, in vigore dal 2007 per ragioni di sicurezza.

Ora la Fifa fa marcia indietro. E, potrà sembrare un controsenso, ma nel calcio da domani convivranno i prodigi della scienza con i rigidi precetti del Corano. Certo anche quest’ultimi si gioveranno del progresso tecnologico: il velo che le calciatrici indosseranno non sarà quello degli antichi musulmani, ma un sofisticato prototipo in velcro che è già stato testato con ottimi risultati negli ultimi mesi.

La svolta è maturata anche in seguito alla polemiche sorte l’anno scorso per l’esito di una partita valida per le qualificazioni alle Olimpiadi di Londra 2012 tra Iran e Giordania. Che non si è mai giocata: finì 3-0 a tavolino per la Giordania, perché le giocatrici iraniane si rifiutarono di togliere il velo per scendere in campo. L’episodio aveva suscitato grande clamore a livello internazionale: un vero e proprio caso diplomatico, con il presidente iraniano Ahmadinejad che aveva definito “dittatoriale” il comportamento dei vertici della Fifa. E da qui era cominciato l’iter che ha portato alla revisione della norma, ratificata ieri.

Del resto, grossi ostacoli tecnici non ce n’erano: l’uso dello Hijab è già permesso in diversi sport femminili (come ad esempio il rugby), e non ci sono rischi in termini di pericolo sul campo da gioco. Così, in ottobre l’Ifab stabilirà con precisione materiali, colori e design consentiti; e poi comincerà una fase di prova fino al 2014, quando la norma dovrà essere approvata in via definitiva.

La decisione della Fifa, però, è stata accolta da un coro di voci tutt’altro che unanimi. Un plauso convinto è arrivato dall’area islamica: in particolare dal principe giordano Ali Bin al-Hussein, vicepresidente Fifa che nei mesi scorsi si era molto impegnato per l’abrogazione di un divieto che, a suo dire, era causa di un allontanamento sempre più massiccio delle donne musulmane dallo sport.

Ma non sono mancati i pareri negativi. Soprattutto in Francia, Paese particolarmente sensibile sull’argomento. Significativo quello dell’associazione femminista Ni Putes ni soumises (““Né puttane né sottomesse”), secondo cui il velo è un “simbolo della dominazione maschile” e la scelta della Fifa “una totale regressione”.

Rilevante, inoltre, l’obiezione sollevata da quelli (e non sono pochi) che si appellano all’articolo n.4 del Regolamento di gioco ufficiale della Fifa. Dove è scritto a chiare lettere che “giocatori e membri della squadra non possono mostrare messaggi o slogan religiosi in nessuna lingua o forma e in nessuno dei loro equipaggiamenti sportivi”. Lo Hijab viene ammesso in quanto “simbolo culturale“; e potrà anche essere così, ma la sua origine è senza alcun dubbio religiosa. E le credenti che indossano il velo lo fanno per rispettare i precetti islamici contenuti nel Corano, non certo per tradizione folkloristica.

Il caso, allora, non è chiuso. E lo dimostra la scelta della Federazione calcistica francese che, nonostante la Fifa, ha deciso di mantenere il divieto per quel che riguarda le sue competizioni. Questo “per rispettare i principi costituzionali e legislativi di laicità che prevalgono in Francia e che figurano negli statuti”. Appunto.

Il rischio che lo sport diventi teatro di pericolose battaglie ideologiche è dietro l’angolo. Dell’uso dello Hijab nel calcio se ne continuerà a parlare a lungo. Ma le lacrime di quelle undici ragazze iraniane, sconfitte da una regola discriminatoria, ieri sono diventate un sorriso. Loro, finalmente, possono tornare a giocare, a vincere e perdere sul campo. E forse basta questo a dar ragione alla Fifa.