Politica

L’estate di San Martino dei nuovi sindaci

Il vallo della Seconda Repubblica era stato smantellato e le armate imperiali in fuga avevano abbandonato la (pen)isola. Sulla terra desolata incombevano terribili minacce di devastazioni al suono dei default, ad opera delle orde burocratico-finanziarie provenienti dalle lande belgiche o d’oltremare.

Allora il popolo implorò l’arrivo di nuovi sindaci che estraessero la spada Excalibur confissa nella roccia dello spirito civico, riportando la speranza sotto quei cieli plumbei. Gli Artù Arturius diretti discendenti della schiatta dei Pendragoni: i “sindaci dei cittadini” che vent’anni prima promisero la rifondazione della politica dal basso; per poi scomparire nelle nebbie di Avalon e nei Palazzi romani (Franceso Rutelli, Antonio Bassolino, Massimo Cacciari…). Invece uno di loro, il prode Adriano Sansa, puro al pari di Parsifal, fu pugnalato alla schiena in una congiura ordita dal bieco burlone Gerundio, magravio delle terre liguri.
Ora i druidi annunciavano che il tempo era maturo per quell’atteso ritorno.

Prime giunsero alla meta Mediolanum e Neapolis, conquistate nel tripudio generale dai cavalieri senza macchia e senza paura della società civile; con alla testa gli integerrimi Tristano Pisapia e Lancillotto De Magistris, che scacciarono dagli antri del potere sia la strega scialacquatrice Mestizia Moratti, sia i biscazzieri che avevano truccato le primarie partenopee. Poi venne il momento di Genoa e dell’oppidum parmensis, svaligiato dagli orridi valvassori berluscones.

Nella città della lanterna e del basilico si fece avanti, guidato dai moniti rossoantico di Dongallo Myrlin, l’ultimo erede di un’antica schiatta – Marcus Doria – che sconfisse due sciamane isteriche, le quali continuavano a percuotersi vicendevolmente con rami di vischio e randelli chiodati ululandosi reciproche contumelie iniziatiche, e afferrò il nobile gonfalone. In terra di tortellini e granapadano balzò fuori dallo scrigno magico (più noto agli iniziati come Meetup) uno sconosciuto maniscalco di computer e Itp, il cui nome era Candidus Pizzarotti, che ebbe buon gioco nel battere in un duplice confronto il morto vivente che gli avevano scagliato contro i maldestri apprendisti stregoni di una setta iniziatica ormai invisibile, chiamata Piddì.

Sembrava fatta. Adesso, finalmente, nuove tavole rotonde di democrazia potevano essere allestite al centro di quelle città, riportate sotto la tutela benefica della Politica Rinnovata, quale promessa di nuove fioriture.

Eppure oscure forze guatavano nell’ombra, pronte a lanciare malefici incantesimi sul nuovo che avanza e i suoi integerrimi campioni. Magari sotto forma di connubi incestuosi con la fata Morgana, signora di quegli stessi interessi contro cui si intendeva combattere.

Anche perché tali eroi si rivelarono assai più sagaci nella costruzione di immaginari consolatori e leggende metropolitane che non nell’avviare campagne di effettiva liberazione dai mali del passato; nel ritrovare il Santo Graal perduto della buona amministrazione quotidiana e, con lui, le formule per sciogliere gli enigmi del governo complesso delle città.
Per ora sappiamo che il Tristano da Mediolanum si aggira in stato confusionale tra le macerie di un Expo che potrebbe diventare l’anticamera dell’Averno.

Il Lancillotto da Neapolis pare alla ricerca di una via di fuga, prima che i suoi fedeli si accorgano dell’insufficienza dei rituali nello sconfiggere mali concreti (presidio del territorio da parte della malavita organizzata, dilagare di nuove povertà, riorganizzazione dei servizi pubblici a partire dalla raccolta rifiuti…). Per questo lo si dice pronto a fare lo stesso balzo del suo predecessore Bassolino verso Roma, alle prossime elezioni nazionali. In alleanza col suo dirimpettaio dell’Apulia che vegeta nell’identica situazione: il pantagruelico Emilianus.
Speranze in via di rapido smarrimento?

Ancora presto per emettere analoghi giudizi riguardo a quanto avviene in terra parmense, dove il candido campione locale vagola alla ricerca di assessori benedetti dai propri mentori (la premiata ditta Casaleggio&Grillo), o nella Camelot di Doria. Quanto si sa dell’Artù genovese, dal volto lunare come un Buster Keaton, è che perfino gli eletti nella sua lista in consiglio comunale già gli si schierano contro; mentre alcuni alleati (le solite sette invisibili postcomuniste e dipietriste) lo aspettano al varco sfruttando un suo vizio d’origine: ex Fgc, ha sempre coltivato grande venerazione del maestro Pelagius Berlinguer, quello che nel momento di ascesa della Sinistra predicava strategie difensive (il Compromesso Storico), tanto da esserne travolto. Doria ripete l’identico errore, barricandosi nella propria giunta (in apparenza) fedele, senza mettere in campo strategie d’attacco.

Per questo gli stessi bardi dei nuovi sindaci arturiani/arancione cominciano a paventare che la loro sia una stagione già volta alla fine.