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Calcio: anche qui manca la meritocrazia

La chiusura del campionato è stata abbastanza indolore, e prevedibile. Anche se tutti si aspettavano in tempi brevi decurtazione di punti, retrocessioni, allontanamenti per frode sportiva di alcuni calciatori, per via di quella brutta vicenda del calcio scommesse di cui non si è parlato – e indagato – ancora abbastanza. La vittoria della Juve, e quel conteggio ridicolo degli scudetti, hanno preso la scena. Zeman ci ha messo il carico: alla domanda “lei quanti scudetti considera della Juve?”, lui risponde “sono 22, al massimo 23”. Beh, una risposta da urlo. Il tecnico boemo non solo non restituisce quello vinto a tavolino dall’Inter, ma addirittura ne toglie altri 6 o 7, seguendo il suo personalissimo calcolo (eccerto, se lo fa Andrea Agnelli, perché non dovrebbe farlo pure lui?!).

Poi, c’è la vicenda Del Piero. E quell’accantonamento per vecchiaia che lascia molto amaro in bocca. Insomma, il calcio è la rappresentazione ideale della nostra società (il calcio, come anche altri posti di lavoro: i giornali, i posti di pubblico impiego, le aziende): dove non valgono i meriti, ma contano solo i ruoli da sistemare, gli spazi da coprire, i conteggi finali, al netto (e stando bene attenti a non farseli nemici) dei pareri sindacali. Ecco che, quindi, non vale la gavetta, non vale la totale devozione per la maglia, non vale l’impegno e i risultati ottenuti, non vale nemmeno la bravura, perché non c’è riconoscimento. Chi è più bravo – obiettivamente – non fa passi avanti.

Perché fa più titolo che Stramaccioni punta su Zarate, che la stupidaggine di una cosa del genere. Fa più clamore che una città intera si sia scagliata contro Luis Enrique, che l’effettivo valore dell’allenatore (parentesi: allenatore che non ha avuto tempo, in questa città piena di vedovelle della famiglia Sensi, di gente che con la Roma ci mangia, e inzuppa, e fa tante altre cose brutte; troppo serio per questa città cialtrona; troppo intelligente per affrontare dialoghi da conferenza stampa dell’Olimpico), che aveva in mano una squadra senza difesa, con Taddei terzino, senza Juan e senza Burdisso. Fanno più notizia i Balotelli, e le multe e gli incidenti in macchina, e Corona e Belen e la Canalis rivista in casa Vieri, eccetera così.

Perché questa è la società dove chi si lamenta, chi chiede spazio, a prescindere dalla bravura, dall’eleganza, dal valore umano, lo ottiene. Chi pietisce il lavoro, chi veste i panni del questuante che si arrabatta e poi piazza una roba mediocre, vince. Perché il livello generale, è questo. Perché la cosa diversa, non è neanche capita. Perché chi prede decisioni ha come regola: non avere problemi. Perché i bravi lottano da soli.

A me, piacciono i soli. Io sto con Di Matteo, l’uomo-gavetta. Che ha dovuto sudarsi e faticare, nel ruolo di calciatore e di allenatore, fino ad ottenere, dopo anni di sforzi e postazioni in ombra, la vittoria. Sto con Di Natale, che si è sempre rifiutato di proporsi per avere un posto in Nazionale, come fanno tutti, per via del suo eloquio faticoso. Ma è un bravo. Infatti, è stato premiato da uno come Prandelli. Ecco, sto con Prandelli. Lui, allenatore della Nazionale, ma potrebbe essere direttore di un giornale, o presidente di una grande impresa, sa correre dei rischi, sa farsi coraggio e sfidare i malvezzi più diffusi. Non ascolta “le voci”. Non pensa al “suo” guadagno, o all’immagine. Non si tiene buono questo e quello. Prende decisioni, a volte di cuore, a volte di pancia, e non solo di maniera. Non come fanno tutti quelli che non cambieranno mai la nostra società.

Ps: è uscito il mio primo ebook, si chiama “Prossima fermata Highbury”, si trova su Bookrepublic… nel caso qualcuno voglia farsi un giro per Londra con me.

Pps: questo invece è l’altro mio blog: Greison Anatomy… se vi capita di entrarci, lasciate il vostro segno.