Cultura

L’alopecia degli orsi

Gli orsi dell’Alaska, dopo essersi avviati risoluti verso l’estinzione, ora perdono il pelo. Gli animalisti non sanno spiegarsene il motivo.
Io però ricordo distintamente una favola che più o meno 15 anni fa raccontavo a mia figlia maggiore e che aveva per protagonista un orso affetto da calvizie. Finzione che si è fatta realtà. E sebbene l’Alaska non sia l’Italia, non ne vanti le prodezze politiche e neanche la tradizione immaginativa, il mio primo post su letterature e altre finzioni quotidiane comincia da qui.
E prosegue con una storie di trote, salmoni e altri varietà ittiologiche.

Dopo una rapida occhiata ai titoli dei giornali, mia figlia (sempre la stessa) ha cominciato una seria negoziazione sull’entità della sua paghetta, che è molto lontana da 5000 euro. Quand’anche si ragionasse sul lordo, non ce la posso fare a garantire alla mia progenie un degno compenso per il solo fatto di stare al mondo. Perciò ho risposto raccontando la storia di Re Lear, sperando di convincerla che ci son dei rischi a coprire i propri figli d’oro e ricchezze. Ho pensato a Re Lear e ne ho concluso che oggi essa è una tragedia di straordinario realismo. Il bardo credeva di scrivere opere di finzione: come in teoria dovremmo fare noi che ci fregiamo dell’epiteto a volte imbarazzante di scrittori.

Più avanti, sempre sulle stesse pagine dei giornali, c’è l’accorata difesa di un regista che ha girato un film a Scampia e che deve dimostrare di non aver pagato un pizzo per girarlo. Personalmente, mi auguro che ci riesca: altrimenti mi identificherò in via definitiva con Alice nel paese delle meraviglie per aver visto il film e averlo amato, senza mai sospettare un’eventualità del genere. E l’esperta in immaginazione dovrei essere io.

Poi c’è la notizia di un tipo che cerca gli assessori sul web, aprendo una casella mail per aspiranti: son tempi duri per i disoccupati, e per tutti noi. Dopotutto, a pensarci bene, che male c’è a tentare ogni via? In un romanzo che ho scritto qualche tempo fa, i disoccupati si fotocopiavano le chiappe per aggiungerle al curriculum e dichiararsi disponibili a darle via per un mestiere qualunque. Il mestiere non arrivava, ma sbocciavano strane storie d’amore tra umani e fotocopiatrici. E anche qui, è finzione, ma non siamo poi troppo lontani dalla realtà.

Sono andata a rileggermi un romanzo del 1963. Cat’s Cradle – Ghiaccio 9 in italiano (Feltrinelli, 2008) – è una parabola geniale sui guasti della scienza applicata all’imbecillità umana. Vi si descrive, tra le altre cose, la sconclusionata Repubblica di San Lorenzo, dove il narratore ottiene un lavoro come presidente senza sottoporsi a nessuna elezione, perché “non ne abbiamo mai fatte: ci limitiamo ad annunciare chi è il presidente”. Pur stupito, John detto biblicamente Jonah accetta l’offerta solo perché questo gli consentirà di sposare la concupita e bellissima Mona: niente male come preveggenza, no? Ciò nonostante, scrive Kurt Vonnegut Jr, San Lorenzo è una repubblica, perché in fondo cosa ci vuole a crearne una? Si fa così: si inaugura una catena di supermercati, si aprono filiali multiple di negozi, si costruiscono camere a gas in serie, e si indice una lotteria nazionale. Poi si può anche scrivere una costituzione. Semmai. Parola di Vonnegut.

Non so a voi, ma a me pare un procedimento tristemente familiare.

E ora vado ad aprire una sottoscrizione per la paghetta di mia figlia. Magari fondo anche un partito. Poi, semmai, mi invento un’ideologia, ma per quella c’è tempo.