Politica

Sardegna e province: referendum ne abolisce 4, fuori oltre 500 dipendenti

In 15 giorni la corte d'Appello di Cagliari dovrà convalidare il voto. Cinque giorni dopo il presidente della Regione deve firmare il decreto. A quel punto le quattro province saranno cancellate anche sulla carta. ma ora si impone il problema di gestione degli appalti e di tutta la macchina burocratica

Dopo la giornata delle percentuali arriva quella dei dubbi. E ora che succederà? Il referendum sardo è valido. Superato il quorum per più di due punti percentuali, i cinque quesiti abrogativi devono essere attuati. Nel frattempo c’è un vuoto normativo. Spazzate via da una valanga di Sì (pari al 97%) le quattro province nuove (Ogliastra, Olbia-Tempio, Medio Campidano e Sulcis Iglesiente), istituite nel 2001 e operative dal 2004, a tal punto da stravolgere anche la norma che regola l’indennità degli attuali 80 consiglieri regionali. Ossia lo stipendio, finora stabilito sull’80 per cento rispetto alla retribuzione di un parlamentare, con un importo netto di base di 11mila euro e rotti. E infatti tra le fila del consiglio già si mormora e si teme di dover lavorare senza adeguata retribuzione, o con ritardi e disagi.

È l’effetto delle urne tra chi gongola per il risultato e chi ribadisce che la consultazione, per cui sono stati stanziati 6 milioni di euro dalla Regione, sia stato uno specchietto per le allodole, proprio perché promosso, tra gli altri, dai Riformatori sardi e dal governatore Ugo Cappellacci (Pdl). E si sprecano le accuse reciproche di far parte della famigerata “casta”.

I passaggi tecnici. Questa la tabella di marcia: entro 15 giorni la Corte d’Appello di Cagliari dovrà convalidare il voto. Cinque giorni dopo il presidente della Regione deve firmare il decreto, poi la pubblicazione sul Buras. Ed è fatta: spariscono così anche sulla carta la metà delle province dell’Isola: quelle più giovani, tutte con un doppio capoluogo (spesso piccoli centri con poche migliaia di abitanti). E sarà necessaria una legge del consiglio regionale. In mezzo ci sono i dipendenti, i bilanci ancora aperti e i progetti a base di denaro pubblico. Nonché la stessa gestione dei territori, con i comuni da ridistribuire tra le province storiche (Cagliari, Sassari, Oristano e Nuoro), forse. E le piccole amministrazioni che dovranno farsi carico di alcune competenze.

Il caos annunciato. Nessuna sorpresa per Roberto Deriu (Pd), presidente Unione province sarde e anche della provincia di Nuoro. Grande oppositore al referendum, al punto di aver presentato ben tre ricorsi tra Tar e tribunale civile, tutti respinti. “È un caos annunciato: ora ci deve pensare la Regione e il suo presidente, Cappellacci. Noi siamo sembrati accaniti nel rivolgerci invano ai giudici, ma avevamo previsto tutto. Volevamo evitare proprio gli effetti di un voto al buio. Che ne sarà degli appalti? Chi li gestirà?”. E addirittura dà una sua interpretazione della validità del voto: con il quorum fissato a un terzo, pari al 33 per cento degli elettori, circa mezzo milione di sardi, afferma che la volontà popolare di bocciare le province non è compatta, appartiene solo a una piccola minoranza. “Se ai sardi avessero chiesto: vuoi abolire la tua provincia? La consultazione non sarebbe di certo passata. Le province non sono state bocciate”, dice con convinzione. E cita quelle dove la percentuale di chi ha votato non ha superato il quorum: Olbia-Tempio, Ogliastra e Sulcis – Iglesiente, rispettivamente con un’afflenza del 26,85, del 28,74 e del 31,53 per cento. In Gallura si teme il ridimensionamento degli uffici pubblici e l’assorbimento con la provincia di Sassari. Pochi commenti invece sul caso Medio Campidano con una partecipazione al voto record pari al 42%.

Le province, i progetti e i dipendenti. L’unico che si è dimesso per ora è il presidente della Provincia del Sulcis, Salvatore Cherchi (Pd), già parlamentare Prc e Pd. Ma qualcun altro sta meditando sulla scelta, come Fulvio Tocco (Pd), presidente del Medio Campidano. “Se non ci saranno soluzioni, lascerò la carica”. Cioè? “Aspettiamo risposte dalla Regione, devono farci concludere i progetti aperti. Portare a compimento i programmi e i nostri compiti e ne elenca qualcuno: “Il servizio di salvamento nelle spiagge di Arbus, il catalogo per l’Unesco, la redistribuzione dei cervi…”. Eppure proprio le iniziative dell’ente sono state spesso criticate, una è finita anche nel mirino della Corte dei conti: la ricerca dei tartufi in pianura.

E i dipendenti? Saranno riassorbiti tra Regione, Unioni dei comuni e vecchie province. Un esercito di 502 lavoratori, secondo i dati Ups, così distribuiti: 125 nella provincia di Carbonia Iglesias, 150 in quella di Olbia-Tempio, 99 in Ogliastra, 128 nel Medio Campidano.

I custodi del referendum. Il comitato che ha sostenuto i dieci quesiti ha deciso di non sciogliersi. “Saremo custodi del risultato deciso dagli elettori”, così dice Pierpaolo Vargiu, promotore della consultazione e consigliere regionale dei Riformatori. E scongiura qualsiasi confusione: “Ora ci penserà l’Assemblea. La palla passa alla politica, i referendum non sono fatti per fare leggi. La scossa è stata forte e chiara. Obbligherà a fare in fretta sia per le province, sia per per gli stipendi dei consiglieri”. È tempo di sobrietà, e questo si è capito. Ma ora si dovrà azionare la macchina burocratica.