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Follia ultrà Genoa, quale?

Capita che l’indignazione per gli ultrà del Genoa salga alle stelle. E capita pure che, da lassù in ‘alto’, si corra il rischio di appiattire tutto, comprese valutazioni ‘altre’ sulla sospensione del match di Marassi. Mi perdoni l’ortodossia del pensiero unico, ma preferisco scrivere ‘d’altro’. Non è un gioco di parole, ma al resto ci pensino loro.

Punto primo, follia simbolica. Niente sintetizza più delle parole di Damiano Tommasi (“La maglia non la darei mai”) e Gianni Petrucci: “La maglia è il simbolo intangibile di una squadra e non può essere né offesa, né vilipesa o, tantomeno, oggetto di trattative”. Domanda: perché Presidente di Assocalciatori e Premier dello Sport italiano tacciono sugli effetti (culturalmente devastanti) delle trattative, pardon della mutazione genetica del calcio, intrapresa senza scrupoli dalla globalizzazione di banche, multinazionali e finanza? Sconfitto il ritualismo della contemporaneità di gioco (spezzatino di anticipi e postici tv), tra l’indifferenza generale sono caduti colori di maglia e toponomastica dei templi del tifo.

In nome di chi? E di cosa? Non certo per spirito decoubertiano. In Spagna il Getafe di Madrid – comprato dagli arabi del Royal Emirates Group – ha cambiato logo e nome, diventando Getafe Team Dubai. In Austria il Salisburgo – comprato dalla Red Bull – oltre al nome ha cambiato logo e colori sociali. In Inghilterra l’Arsenal di Londra, abbattuto il mitico Highbury ‘febbre a 90’ col petrolio degli sceicchi, oggi gioca nell’Emirates Stadium, proprio come in Germania – stesso brand namingBayern Monaco e Monaco 1860 giocano nell’Allianz Arena. E se i Mondiali 2022 vanno in Qatar (micro-emirato evidentemente con grande tradizione calcistica!) in Italia il nuovissimo Juventus Stadium rischia di votarsi ad un Dio Sponsor mentre la Roma a stelle e strisce (dopo un pensiero sul restyling del logo lupa) vuole il derby con la Lazio in USA, anziché all’ombra del Colosseo. Che ne pensano Tommasi e Petrucci?

Torniamo a ieri, alla follia del Luigi Ferraris. Pazzia delinquenziale o folle amore tradito? Cos’hanno inscenato gli ultras del Grifone, chiedendo ai rossoblù di spogliarsi della più antica casacca italiana di football? Mero teppismo, ignoranza culturale all’accettazione della sconfitta (loro che hanno calcato campi di Serie C), umiliazione, gogna mediatica o disperato grido d’allarme contro lo spogliamento dell’anima popolare del calcio? Vabbè, in attesa dei deferimenti federali per il calcio scommesse, il Genoa è pure in lotta per non scendere in Serie B. Ma una cosa è indubbia: è evidente il corto circuito di un sistema che, come uno zombie, non rappresenta altro se non l’ombra di se stesso.

Punto secondo, gestione folle dell’ordine pubblico. Se in gergo calcistico negli anni ’70 esisteva la fatal Verona, nel terzo millennio esiste la fatal Genova. Quantomeno per la gestione dell’ordine pubblico (G8 a parte). Nel 2010 già musa ispiratrice del fallimento della Tessera del Tifoso quand’ancora era in fase sperimentale (ai milanisti con carta Cuore Rossonero fu vietata la trasferta e si giocò a porte chiuse), a Genova si consumò pure lo show internazionale dell’ultrà serbo Ivan Bogdanov, tatuaggi, passamontagna e pinze in accesso libero nel settore ospiti. Ricordate? Da allora è cambiato poco e nulla. Alla faccia delle polemiche.

Com’è stato possibile che un manipolo della Gradinata Nord ha attraversato la pancia dello stadio, posizionandosi in tribuna, eludendo i principi più elementari del binomio ‘biglietto nominativo-attribuzione del posto fisso’? Dov’erano in quel momento e come hanno funzionato (se mai hanno funzionato) i militaristici sistemi di controllo dello stadio ‘messo in sicurezza’? Dov’era la forza pubblica? E perché, una volta giunti all’altezza del centro del campo, gli steward hanno osservato immobili la scena dello scandalo? Cosa ci sta a fare, quella gente lì, in pettorina fosforescente? Servono solo a togliere tappi dalle bottigliette d’acqua o tetra pack di succhi di frutta agli ingressi? Oppure, come a Firenze, solo ad impedire l’ingresso di striscioni disegnati dalle mani di pericolosissimi bambini accompagnati? Altra figuraccia, lo scarica barile tra il Questore Massimo Mazza e il Presidente Enrico Preziosi, situazione tipicamente all’italiana. Per fortuna parlano le immagini. A bordo campo c’erano decine di operatori tra Digos, Polizia Reparto Celere e Guardia di Finanza: nessuno ha interferito nella trattativa ultrà-Sculli-Marco Rossi.

Infine una certezza. O meglio, un presentimento e una certezza. Il presentimento è questo: al netto della gazzarra, pagheranno solo i tifosi. Parte ha già scontato ieri, col teatrino della sospensione della partita per 45 minuti. Tutti pagheranno con la squalifica del campo (forte ammenda al club e forse punti in classifica). Parte pagherà entro le prossime ore con l’arresto in differita, secondo legislazione ‘emergenziale’ sulle manifestazioni sportive.

La certezza è invece un precedente: quando, per un caso simile, allo Stadio Olimpico nel 2004 venne sospeso e rinviato il derby capitolino per invasione di campo e trattativa tra giocatori giallorossi e 3 ultrà della Roma (poi diffide e 18 arresti in totale), i processi penali si conclusero con prescrizioni e (filone devastazione) con un nulla di fatto ‘perché il fatto non sussiste’. Viva l’Italia, olé.