Cronaca

L’Aquila, nel centro storico solo puntellamenti di ferro e legno. E niente ricostruzione

Enrico Perilli, capogruppo Prc in consiglio comunale: "Erano opere provvisorie, ma la garanzia di affidabilità delle strutture è scaduta. Nessuno ora si sta ponendo il problema di metterli in sicurezza". La zona rossa è ferma alle 3:32 di tre anni fa. Sull'asfalto ancora estintori di quella notte e auto schiacciate dalle macerie

Tre anni dopo, “non esiste alcun progetto di revisione”. Il centro storico dell’Aquila poggia ancora sui “puntellamenti”, pezzi di legno e ferro costati circa 200 milioni di euro, destinati a marcire. Opere iniziate dopo il sisma del 6 aprile 2009 per mettere in sicurezza gli edifici che dovrebbero essere revisionati.

La garanzia di tre anni di affidabilità delle strutture è scaduta e ora è arrivato il momento di rinnovarla. Enrico Perilli, capogruppo Prc in consiglio comunale, spiega però che “non ci sono soldi se non per la ricostruzione. I puntellamenti (qui il resoconto in pdf dei costi per il Comune) erano opere provvisorie, lo si sapeva fin dall’inizio, nessuno ora si sta ponendo il problema di metterli in sicurezza”. Perilli, di queste opere si è occupato fin dal settembre 2009, presentando interrogazioni alla Giunta capitanata dal sindaco Massimo Cialente (Pd). “Quello dei puntellamenti è stato il primo grande business dopo il terremoto. Non sono state fatte gare d’appalto e le ditte hanno lavorato per milioni di euro attraverso chiamate dirette”.


video di Francesca Lombardi

Per ora, in città, abita solo il silenzio. Durante la settimana, si sente solo un po’ di musica diffusa dalle casse dei pochi bar aperti e il motore dei mezzi militari che presidiano la zona rossa, estesa a gran parte del centro storico. Vietato entrare se non si dimostra di lavorare in un cantiere. Anche se la casa è di proprietà: per girare la chiave nella serratura occorre essere accompagnati dai vigili del fuoco. E qualcuno si chiede “che l’hanno puntellata a fare, la città, se poi non ci si può mettere piede per ragioni di sicurezza”.

L’area off limits è rimasta ferma alle 3:32 di tre anni fa. Ci sono quei pezzi di legno e ferro a fare da stampelle ai palazzi, ma tutto appare congelato. Sull’asfalto ancora estintori di quella notte e auto schiacciate dalle macerie; nelle case, abiti negli armadi, bottiglie nei frigoriferi, dispense ancora piene di cibo ormai marcio. Intorno, la vita degli aquilani, spostatasi nelle 19 “new town” berlusconiane e nei centri commerciali. E tante chiacchiere: parole, convegni, promesse che hanno un costo.

La struttura commissariale creata per fronteggiare la “questione Aquila”, al cui vertice siede Gianni Chiodi, presidente Pdl della Regione Abruzzo, fino a qualche giorno fa vedeva all’opera “oltre trecento persone”. E’ l’assessore comunale con delega all’Assistenza alla popolazione Fabio Pelini a mettere in evidenza la complessità e i costi della governance. Fino all’ordinanza del ministro alla Coesione territoriale Fabrizio Barca di due settimane fa, questa era composta da Sge (Struttura gestione emergenza), Stm (Struttura tecnica di missione), Commissione tecnico-giuridica (quattro membri più un capo-segreteria “per una spesa di 400mila euro l’anno” fino a fine marzo 2012), più figure che si occupavano di smaltimento macerie, beni culturali e altre incombenze. Lo stipendio del solo vicecommissario Antonio Cicchetti nominato nel settembre 2010, si legge nel testo di Pelini, era di “232mila euro annui”. Stesso pagamento, continua la relazione, per il coordinatore della “Struttura tecnica di missione” Gaetano Fontana e trattamento economico «di tutto rispetto» per il coordinatore della “Struttura gestione emergenza” Roberto Petullà: “Stipendio base, 200 ore di straordinario festivo e notturno, 70 ore di ulteriore straordinario, se effettivamente reso, e il trattamento di missione, più 30 mila euro gentilmente concessi dal commissario con il decreto 65 del 28 giugno 2011”. Nel documento di Pelini si parla anche di lauti compensi a urbanisti ed economisti per la stesura di “qualche paragrafo” e di “professionisti ad alta qualificazione informatica da 60mila euro l’anno”. Ora, a tre anni di distanza, la Struttura gestione emergenza è stata smantellata, e così la Commissione tecnico-giuridica: termina il suo incarico anche il vicecommissario, mentre cambia nome la Struttura tecnica di missione, che diventa “Ufficio coordinamento ricostruzione”.

Restano, però, tante sigle. Quelle della struttura commissariale, e quelle delle abitazioni: dalle C.a.s.e, complessi antisismici sostenibili ecocompatibili, ai M.a.p, moduli abitativi provvisori, fino alle lettere che indicano il grado di agibilità delle abitazioni di proprietà, da “A”, agibili, fino a “E” che significa “gravi danni strutturali”. Gli aquilani di neologismi e acronimi farebbero volentieri a meno: sopratutto i 33.700 che ancora non sono tornati nelle loro abitazioni e che si aggrappano alla speranza che quei 5,7 miliardi a disposizione per la ricostruzione di cui ha parlato il ministro Barca possano portare a risultati concreti.

“Si è creato un ingorgo giuridico e procedurale che ha bloccato la rinascita della città”, spiega l’assessore comunale alla ricostruzione Pietro Di Stefano. “Qui si è trasferita la peggiore delle burocrazie e si sono volute sperimentare cose abominevoli: spero che qualcuno un giorno si assuma la responsabilità di tutto questo”. Emanuele Imprudente, consigliere aquilano dell’Mpa per il Pdl, sottolinea però che “le colpe non sono tutte di una parte. Il problema c’è stato con il passaggio dallo Stato al sistema locale. Cialente non aveva poteri commissariali e da qui si è iniziata a politicizzare la ricostruzione”.

Spettatori di questo immobilismo, i cittadini avvertono solo i litigi fra politici. “Si danno la colpa a vicenda, e intanto tutto rimane fermo – dice una signora davanti a un’edicola – Per noi ricostruzione è solo una parola che compare sulle carte e nei convegni. Ora, però, vogliamo concretezza”.