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Olanda, l’estrema destra chiede un referendum per uscire dall’Euro

Uno studio dimostrerebbe che i cittadini olandesi perdono 2700 euro l'anno dall'adozione della moneta unica. Ma lo studio, secondo la stampa, fa acqua da tutte le parti. Tuttavia lo strappo minaccia non solo l'integrità dell'Euro ma anche la stabilità dell'Olanda, chiamata a tagli per 16 miliardi di euro. E i referendum euroscettici si moltiplicano in Europa

Geert Wilders, leader del partito di estrema destra Pvv

“Se Herman van Rompuy pensa che l’euro sia sexy, noi al contrario pensiamo che il fiorino sia sexy”. Parole che se non fossero dette con la proverbiale serietà di Geert Wilders, leader dell’estrema destra in Olanda, farebbero quasi ridere. Ma da sorridere c’è poco visto che Wilders ha chiesto un referendum popolare contro l’euro per tornare alla moneta nazionale, il fiorino olandese. Una cosa è certa: l’esito di una consultazione popolare in Olanda, oggi come oggi, potrebbe riservare davvero una brutta sorpresa per l’Europa e la sua quasi ritrovata stabilità finanziaria.

Sventolando uno studio di 25 pagine dal titolo emblematico, The Netherlands and the Euro, Wilders non ha dubbi: “L’Euro è un progetto fallito”. Questo perché, secondo il report, “i benefici legati alla moneta unica ammonterebbero a circa 800 euro l’anno per ogni cittadino olandese, mentre gli svantaggi sarebbero di ben 2.700 euro”, complici soprattutto i “127 miliardi di euro” che lo studio stima essere “lo sforzo sostenuto dall’Olanda per salvare Paesi come Grecia, Irlanda e Portogallo”, una pillola che al cittadino medio olandese non va proprio giù. E non è finita. Per Wilders, l’introduzione dell’euro ha rallentato la crescita economica e ha ridotto i consumi nel Paese. “Uscire dalla moneta unica ci costerebbe 51 miliardi di euro il primo anno, ma questa cifra sarebbe più che compensata dai 125 miliardi di euro che l’Olanda dovrà pagare, tra il 2012 e il 2015, per salvare i partner indebitati”.

Ma a ben guardare lo studio di Wilders fa acqua da tutte me parti. Almeno secondo il quotidiano olandese De Volkskrant, che definisce il rapporto “tendenzioso”, dal momento che l’istituto “non ha saputo fugare i dubbi iniziali sull’imparzialità dello studio”. Il quotidiano aggiunge che il rapporto “non è abbastanza convincente nel dimostrare i vantaggi di un ritorno al fiorino”. “Scarse”, inoltre, “le informazioni sui costi legati all’uscita dall’eurozona”, come “gli effetti negativi sulle esportazioni e sulla crescita economica”.

E poi va fatta un’altra precisazione. Lo studio in questione è stato commissionato alla società britannica Lombard Street Research, già autrice di studi per altri partiti euroscettici, lo scorso autunno, quando l’Euro si trovava sotto forte pressione. Inutile aggiungere che commissionare uno studio sull’Euro ad una società di ricerca britannica con sede al 30 di Watling Street, nel cuore della City di Londra, non è esattamente il primo indice di affidabilità. E sì che Wilders non dovrebbe avere uno stretto feeling con il Regno Unito, almeno da quando, il 10 febbraio 2009 è stato “bandito” dalla Gran Bretagna dall’allora Segretario di Stato per gli Affari Interni Jacqui Smith per le sue e posizioni estremiste e razziste. “La sua presenza avrebbe potuto accendere tensioni tra le nostre comunità e portare a scontri religiosi”, era stata la posizione ufficiale della Corona.

Sta di fatto che oggi Wilders “la tensione” la porta nel cuore dell’Europa, solo qualche giorno dopo l’approvazione a Bruxelles del faticoso fiscal compact, il nuovo patto di bilancio dell’Unione. E questo non solo perché il referendum olandese potrebbe portare a risultati indesiderati per l’Euro stesso, ma perché la spaccatura di Wilders potrebbe costituire un problema per il governo olandese, costretto in questi giorni ad approvare una manovra finanziaria non facile. L’Olanda, entrata in recessione a gennaio, deve tagliare il suo deficit che per quest’anno si assesta al 4.5%, e nel 2015 al 3,3%. Se queste cifre fossero confermate, non centrerà il target del 3% il prossimo anno, come fissato da Bruxelles. Ecco che la maggioranza di destra guidata dal Premier Mark Rutte deve operare un taglio di bilancio di 16 miliardi di euro. Questo non solo per rispettare le provvisioni del fiscal compact, ma anche per difendere la tripla A di rating, insieme a Germania e Finlandia.

E piaccia oppure no, il Partito della Libertà (Pvv) di Geert Wilders conta eccome, visto che con i suoi 24 deputati (su 150) sostiene da esterno il Governo formato dai liberali del Vvd e dai democristiani della Cda. Il Primo ministro, Mark Rutte, cerca di riassicurare gli animi (e i mercati): anche se i negoziati “saranno difficili, c’è la volontà di raggiungere un accordo”.

Di sicuro, anche se riuscirà a mantenere la maggioranza in parlamento, probabilmente grazie all’appoggio dell’opposizione, così com’è accaduto in Germania per il voto sul fiscal compact, il Governo dovrà poi vedersela con un’opinione pubblica in subbuglio (disoccupazione record del 6%) in caso il referendum sull’Euro si facesse davvero. Un rischio, quello del referendum “euroscettico” che sta sbocciando in tempi diversi in più parti d’Europa, dall’Irlanda (sul fiscal compact), alla Francia (ritorno al franco chiesto da Marine Le Pen), passando per il Regno Unito (per uscire addirittura dall’Ue) e la Grecia (sulle misure di austerità imposte dalla Troika). Insomma, almeno su questo Wilders non è da solo.