Cronaca

‘Ndrangheta al nord, arrestato carabiniere: “Favoriva i riciclatori del clan Facchineri”

Indagine del Gico e della Guardia di Finanza di Milano: il vicebrigadiere Salvatore Russo accusato di corruzione. Ordini di custodia per 23 persone, contestata l'aggravante del metodo mafioso nelle attività di usura ed estorsione. Il comandante Tomei rilancia l'allarme omertà: "Nessuno ha denunciato"

C’è anche un carabiniere tra le persone arrestate in un’operazione della Guardia di Finanza di Milano, che ha coinvolto tra gli altri due esponenti di primo piano della ‘ndrangheta, i cugini Vincenzo e Giuseppe Facchineri, originari di Cittanova in provincia di Reggio Calabria, da molti anni trapiantiati nel milanese. E’ il vicebrigadiere Salvatore Russo, anche lui di origini calabresi, in servizio al Nucleo operativo radiomobile di Monza. Cioè presso lo stesso comando che è stato protagonista della grande indagine “Infinito” del 2010 contro la ‘ndrangheta in Lombardia.

L’accusa è di corruzione. Con accessi illegali allo Sdi, la banca dati delle forze dell’ordine, Russo avrebbe favorito diverse truffe condottte da altri due arrestati, Orlando Purita e Gianluca Giovannini, indicati dagli investigatori come riciclatori dei Facchineri. In cambio, si legge nell’ordinanza del gip di Milano Luigi Varanelli, avrebbe incassato 15 mila euro nel solo periodo tra gennaio e luglio 2008, mentre per singole interrogazioni della banca dati Purita e Giovannini gli proponevano un “gettone” da 100 euro. Dalle intercettazione emerge anche la promessa di una vacanza pagata a Rimini, del valore di “2000-2500 euro”.

Si allunga così la lista degli uomini in divisa in servizio al nord accusati di essere al soldo delle cosche o dei loro colletti bianchi. Tra gli ultimi casi, una guardia carceraria di Pavia accusata di aver favorito i boss del varesotto, quattro finanzieri arrestati per presunti rapporti con il clan Lampada-Valle, quattro carabinieri coinvolti nell’indagine Infinito, di cui due condannati l’anno scorso in rito abbreviato per corruzione e favoreggiamento.

L’indagine “Black Hawks” condotta dal Gico e dal Nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza di Milano ha portato a 23 ordini di custodia cautelare, chiesti dal pm Giuseppe d’Amico, e al sequestro di beni per cinque milioni di euro. I reati contestati comprendono riciclaggio, impiego di denaro di provenienza illecita, usura, estorsione, truffa, corruzione, associazione a delinquere, ricettazione, con l’aggravante del metodo mafioso. “Nessun imprenditore, nessuno della società civile ha fatto denuncia”, ha commentato Vincenzo Tomei, comandante del Nucleo di polizia tributaria, riprendendo l’allarme sull'”omertà alla milanese” più volte lanciato da Ilda Boccassini, numero uno della Direzione distrettuale antimafia. “Le persone coinvolte in questa vicenda”, ha continuato Tomei, “sono ben inserite nel contesto sociale, vivono a Milano e non tengono in nessun conto l’idea di un’alternativa a questo modo di vivere. Questo è un aspetto che ci preoccupa molto”.

IL VIDEO DELL’OPERAZIONE BLACK HAWK

Esponenti della cosca Facchineri si sono trasferiti in Lombardia negli anni Ottanta, in fuga da Cittanova per la faida contro gli Albanese-Raso-Gullace che nel decennio precedente aveva provocato 32 morti e 9 tentati omicidi. Giuseppe Facchineri si era stabilito a Lacchiarella, Vincenzo a Cesano Boscone. Entrambi sono pregiudicati per traffico di droga. Secondo il Gico, mantenevano stretti contatti con le cosche Pesce e Bellocco di Rosarno, ai vertici della ‘ndrangheta. Dagli atti dell’inchiesta appare anche un legame economico con gli uomini dei Mancuso di Limbadi, da tempo insediati in Brianza, clan di grandi trafficanti internazionali di cocaina. Da latitante, nel 2007, Vincenzo Facchineri aveva a disposizione un covo milanese, in via Ricciarelli 8.

L’indagine attuale è incentrata sul riciclaggio di denaro sporco, con contorno di usura ed estorsione. “Prendo una denuncia per estorsione io perché vado e lo massacro…”, minaccia Vincenzo Facchineri in un’intercettazione del 10 settembre 2008. “Io stasera vado alla casa e scasso a tutti e due, prima spacco il figlio e poi spacco il padre e poi vediamo come esce la macchina dopo due minuti”. L’obiettivo è un cliente che tarda a restituire l’auto presa a noleggio dalla Cargo rent spa di Milano, che secondo il Gico era controllata dai due cugini. La Cargo Rent, si legge nel sito aziendale, “nel 2007 raggiunge un fatturato di circa 27 milioni di euro“. Il suo amministratore delegato, Carmine Cambareri, nato a Bagnara Calabra e residente a Bologna, è tra gli arrestati dell’operazione Black Hawk. In un’altra intercettazione, del 26 luglio 2008, è il presunto riciclatore Purita a raccontare come ha convinto un altro debitore dei Facchineri che aveva chiesto una dilazione: “Comunque gli ho messo paura, gli ho detto che sono latitante, che già ce n’ho uno sulle spalle (di omicidio, ndr), gli ho detto: mettermene un altro, mettermi anche voi sulle spalle non me ne frega un cazzo. Gli ho detto chiaro che l’ammazzo”.

Un altro imprenditore che cerca di “sfilare” quattro Fiat Punto alla Cargo Rent, Alberto Schiavone, racconterà agli investigatori di essere stato prelevato sotto casa da Facchineri, spalleggiato da un complice, di essere rimasto “sequestrato due giorni” nel quartiere milanese di Baggio, “chiuso in un garage e riempito di botte”.

Ma Orlando Purita, originario della provincia di Catanzaro, e Gianluca Giovannini, bolognese, agiscono anche in proprio. E qui si inserisce la collaborazione del carabiniere Russo. Secondo l’accusa, tra febbraio e settembre 2008 i due intascano 430 mila euro con truffe ai danni di imprenditori del settore nautico, nel quale Giovannini lavora come broker. Purita approccia le vittime spacciandosi per il “capitano Silvio Morabito della Guardia di Finanza”, in realtà inesistente. E chiede decine di migliaia di euro in cambio di “protezione” da indagini e verifiche fiscali.

In almeno un’occasione, per rafforzare la sceneggiata, Russo lo accompagna in divisa, con tanto di medaglie al petto. Inoltre, si legge nell’ordinanza, “si occupava di reperire illegalmente i dati presso la banca dati Sdi delle forze dell’ordine”. Uno degli imprenditori truffati, il bolognese Giulio Lolli, titolare della Rimini Yacht spa, ottiene così informazioni riservate su un socio in affari del quale non si fida più e che vuole togliersi di torno. In cambio versa a Giovannini 160 mila euro. I primi 100 mila, il presunto riciclatore li riceve a San Marino, terminale di diverse operazioni bancarie, e se li nasconde sotto la camicia: “Ce li ho qui nella pancia”, afferma in un’intercettazione, “perché ho una pancia talmente grande che non si nota la differenza anche mettendo i soldi”.