Diritti

Affidamento condiviso e (dis)parità di diritti

La legge sull’affidamento condiviso (l. n. 54/2006) è fondata su un principio prezioso: salvaguardare la bigenitorialità, perché un figlio deve crescere con equilibrio, con un padre e con una madre. Poi però il verginale principio si scontra con la conflittualità dei genitori separati. Soprattutto si scontra con la gestione “giudiziaria” del conflitto. Dunque sulla scena teatrale irrompono altri “attori” che possono cambiare ineluttabilmente il destino di almeno tre persone (ma in realtà anche di più, oltre al padre-madre-figlio): i giudici, gli avvocati, gli eventuali consulenti (del tribunale e di parte), gli assistenti sociali. Attori non sempre all’altezza della recita, che può divenire presto dramma. Anzi, ancor di più, gli attori possono cambiare e di molto il finale, in peggio. Soprattutto se mediocri figuranti.

Il dibattito che ha fatto seguito al mio intervento dell’altro ieri dimostra quanto siano sentite la drammaticità e l’attualità della paternità “negata” dopo una “separazione”.

Ringrazio chi ha partecipato al dibattito, anche con veemenza, con atteggiamento fondamentalista, con livore. Il Fatto è straordinario anche in questo: smuovere le coscienze per creare nuove coscienze. Ringrazio Laura e Adriana in particolare, per la rettitudine morale e per il rigore dimostrato, nell’essere donna e madre, responsabile sino ed oltre la gestione del conflitto di coppia, nell’interesse del figlio e (perché no?) anche nell’interesse dell’uomo con cui hanno condiviso il momento più bello, la nascita del figlio. Perché quell’uomo, che pure presumo abbiano odiato, rimane (per) sempre il padre del loro frutto.

Dal dibattito ho imparato molto e ho ricevuto anche molte conferme. Ha svelato tanti profili di tale querelle che vorrei in sintesi affrontare.

(1) Il tema è particolarmente importante per la società poiché interessa un numero sempre crescente di persone. Metà delle coppie si separa dopo qualche anno e buona parte di esse hanno figli minori.

(2) Sta generando un notevole dramma sociale poiché a una delle parti (quasi sempre il padre) viene sottratto, di fatto, il figlio e depauperato il patrimonio, così creando spesso nuovi poveri o emarginati.

(3) Disvela in realtà un retroterra culturale preoccupante e colmo di ingiustizie (giuridiche e non solo) che ha condizionato a lungo la giurisprudenza e l’atteggiamento dei giudici e condizionato quello degli avvocati.

(4) Investe appieno il rapporto tra uomo e donna, in particolare nella società italiana, contraddittorio e schizofrenico nel rivendicare da un lato la parità di trattamento ma opportunista nell’avidità con cui si pretende la disparità di trattamento dopo una separazione, in danno del “padre”.

(5) Si pretende di legittimare ciò che non è legittimo, ossia il diritto della donna separata di essere di fatto “risarcita” dal proprio ex compagno e padre del figlio, solo per aver fatto da madre, come se fosse il Tfr.

(6) Nello stesso modo si pretende di legittimare, sempre illegittimamente e in modo grottesco, il “risarcimento” in danno del padre per ingiustizie che la società arrecherebbe alle donne in generale (welfare insufficiente, opportunità di lavoro, sessismo etc.).

(7) Emerge un diffuso senso di irresponsabilità nel voler strumentalizzare il figlio per interessi personali.

(8) Affiora una degenerazione della maternità, con donne poco materne, poco attente alla crescita equilibrata del figlio, accecate dall’egoismo.

(9) Si celebra – con rito funebre – la fine della famiglia “per sempre”, coesa, unita, nido d’amore, in favore della “famiglia a termine” breve e del conflitto come sbocco probabile.

(10) Sono sottaciute le conseguenze che tutto ciò avrà sulla società tra qualche anno, quando migliaia di “minori” di genitori separati diventeranno adulti. Forse una bomba ad orologeria, delle cui conseguenze oggi quasi nessuno parla.

(11) Il sistema bieco di legalità (la normativa sull’affidamento) che infonde di fatto l’illiceità di chi viola sistematicamente gli accordi sui figli minori, contando sull’impunità (perché i rimedi previsti dall’art. 709 ter cod. proc. civ., quali l’ammonimento e il blando risarcimento, sono insufficienti).

(12) L’impunità dei tragici (a volte) “attori” quali i giudici, gli avvocati, i consulenti del tribunale, gli assistenti sociali che, pur compiendo nefandezze e gravissimi danni, non sono chiamati a risponderne o, se chiamati, raramente ne rispondono.

La lista, come leggete, è lunga. E non è certo finita. Dunque è necessario un ampio, profondo, durevole dibattito.

Lo dobbiamo a noi stessi. Soprattutto ai nostri figli.