Politica

Partito di lotta o di governo? <br> Nel Pd si litiga sullo sciopero

I Lettiani a Fassina: non si può manifestare contro la manovra. e l'alleanza con De Pietro è quasi un ricordo. Vendola: "Nessuno tranne gli elettori ha diritto di stracciare quella foto"

“Non si può tenere a lungo il piede in due staffe, magari protestando la mattina (in piazza) contro provvedimenti che il proprio partito vota la sera (in Parlamento)”. È il sito di Trecentosessanta – ovvero l’associazione di Enrico Letta – che pubblica in un articolo (a firma Alessia Mosca e Marco Meloni) un attacco a freddo contro il responsabile economico dei Democratici, Stefano Fassina, che aveva espresso la volontà di andare al presidio organizzato dai sindacati lunedì. “Non mi interessa”, si limita a mormorare una versione del “no comment” particolarmente dolente l’interessato, che lo scopre in diretta telefonica col Fatto, col tono di chi non è in grado di sopportare altre domande, altre questioni. Indizi evidenti della temperatura che in casa democratica è sempre caldissima. L’articolo è al vetriolo: “Non esiste – se non nella mente di qualche nostalgico di altre stagioni – lo spazio per la creazione di ‘un partito di lotta e di governo”. Tanto più “se si hanno incarichi di responsabilità nel partito”. Commenta Matteo Orfini, responsabile Cultura e informazione dei Democratici, con il solito umorismo corrosivo: “Una minaccia? Ma no, era un’autocritica. Intendevano dire che hanno capito che non si può chiedere equità e festeggiare la manovra”. Ha un bel gettare acqua sul fuoco Letta, parlando di “scaramucce”. Lui che nelle vesti di mediatore ha annunciato l’ok condiviso di Pd, Pdl e Terzo Polo a modifiche su tre punti (“recupero dell’inflazione esteso a tutte le pensioni superiori almeno di tre volte alla minima; scalone meno rigido; aumento sulla franchigia sull’Ici sulla prima casa”). Ha un bel minimizzare, ma i più “radical” del partito sono messi sempre più all’angolo. E l’aria che si respira è elettrica.

Questo è solo l’ultimo episodio di un escalation di tensioni. Aveva iniziato l’altroieri sera Di Pietro annunciando voto contrario alla manovra e parlando di “inciuci” in Parlamento. Ripreso da Bersani, in diretta tv con la Berlinguer al Tg3 e visibilmente teso: “Se fa così andrà da solo”. L’alleanza con Idv e Sel (“la foto di Vasto”) vacilla. Anzi, forse già non esiste più. D’altra parte Bersani le accuse di inciucio proprio non le manda giù e rispetto a questo sembra pronto a lasciar andare i dipietristi per la loro strada. ”Basta giocare” è la parola d’ordine, e il Pd – in evidente difficoltà con i suoi elettori (che in questi giorni hanno invaso siti, blog e pagine Facebook di insulti e delusione) – sente che il leader Idv lucra sulle sue difficoltà. “Noi siamo responsabili, Di Pietro non si prende le sue responsabilità”, dice ancora lo stesso Fassina. Che si trova nella scomoda posizione di difendere una manovra che ha criticato e un governo sul quale ha espresso tutta la sua perplessità. “Non è il governo del Pd. È il governo anche del Pdl”. Sì, ma l’impressione è che sia un po’ troppo del Pdl. “Noi stiamo facendo di tutto per migliorare questa manovra”.

Bersani – infatti – sta facendo un’opera di mediazione in prima persona. Ieri ha parlato con Giarda, con Alfano, con Casini. E in mattinata ha riunito il gruppo del Pd chiedendo ancora una volta “responsabilità” sulla manovra. Richiesta sostanzialmente accolta da tutti, anche se da posizioni opposte: a molti l’impostazione di Monti va sostanzialmente bene, altri la mandano giù a fatica e insistono per modificarla il più possibile. Tra loro, Cesare Damiano (un altro che non ha escluso la partecipazione allo sciopero di lunedì). Espressione delle posizioni più radical nel partito ha portato avanti una vera e propria trattativa in Commissione Lavoro a Montecitorio. Tanto da giungere a un accordo condiviso con il Pdl, dopo una vera e propria trattativa (nel merito: oltre alla indicizzazione per le pensioni tre volte superiori alla minima, alla gradualità dello scalone, il superamento della penalizzazione dei lavoratori che vanno in pensione avendo meno di 62 anni di età). “È un compromesso”, ammette. Come afferma chiaramente: “Certo, l’alleanza di Vasto è condizionata da quel che è successo in questi mesi”. Se lui lo dice a malincuore, Francesco Boccia (non a caso lettiano) ha tutto un altro tono: “La foto di Vasto? Quell’alleanza non è mai esistita”. Il terzo protagonista di quella foto, Nichi Vendola (che ieri ha presentato una contromanovra, incentrata su una patrimoniale straordinaria con un gettito di addirittura 200 miliardi e il rifiuto dell’idea di fare cassa sulle pensioni) ha ammonito: “Nessuno, tranne gli elettori ha diritto a stracciare la foto di Vasto”. E poi ci ha tenuto a esprimere “rispetto” pur nel dissenso a Monti e lo stesso “rispetto” alla posizione assunta dai Democratici. Ieri nella sede di Sel si respirava un’aria di ri-partenza, quasi euforica. E Vendola ha scelto un profilo basso, una strategia opposta a quella di Di Pietro. Forse ha intercettato la volontà dell’elettorato di dialogare con Monti, seppur per criticarlo. O forse aspetta che qualcuno tra i Democratici non ne possa più dei “bocconi amari” e scelga Sel.

dal Fatto Quotidiano dell’8 dicembre 2011