Media & Regime

Berlusconi & Co.: ritratto dei nostri carnefici

Un riepilogo sul recente stato di cose dalla vicina Svizzera, dalle colonne del quotidiano di lingua tedesca Neue Zürcher Zeitung. Sebbene l’articolo non sia recente – è infatti uscito il 14 novembre scorso, all’indomani della caduta degli dei – ci aiuta a scrollarci di dosso la costante sindrome di Stoccolma che ci accompagna, delineando un ritratto fresco, semplice e immediato dei nostri carnefici politici.

Così Berlusconi è un “clown ridicolizzato”, o in alternatva un “Mussolini dei salotti”, che si appende volontariamente al moderno Piazzale Loreto per salvare le aziende di famiglia in disgrazia; i politici del Pdl sono “un’imbarazzante cricca”, mentre Bersani agli occhi della stampa estera è solo uno “scialbo burocrate”; Pier Ferdinando Casini siede imbronciato “sulle tristi rovine della DC”, Di Pietro è un populista con volontà di potenza, Nichi Vendola è quello amato sui social network, mentre Beppe Grillo è una testa matta piratesca.

Per fortuna che ancora ascoltiamo il “vecchio saggio” Napolitano quando ci racconta delle nostre miserie. Napolitano e la stampa estera: le nostre Cassandre.

di
Lillo Montalto Monella

Ostracismo e postumi di una sbornia
Titolo originale: Scherbengericht und Katzenjammer
Testata: Nzz Online
Autore: Franz Haas
Data: 14 novembre 2011
Tradotto da Cristina Bianchi per italiadallestero.info

L’uscita di scena di Berlusconi non basta a salvare l’Italia

Sabato sera gli italiani che non appartengono alla corrente di Berlusconi hanno festeggiato a champagne. Ma l’emicrania con cui si sono svegliati il giorno seguente ha però cause anche più profonde

Ancor più dal loro linguaggio si potrebbero riconoscere i farabutti, pensava Karl Kraus fidandosi delle false parole dei suoi avversari. I futuri linguisti analizzeranno diffusamente e istruttivamente l’italiano di Silvio Berlusconi e in particolare sarà istruttiva la parola “traditore”: “8 traditori”, ha scritto su un pezzo di carta Berlusconi martedì scorso, dopo un voto in tutta fretta in Parlamento, quando otto dei suoi compagni di partito hanno voluto fermare la totale rovina dell’Italia votando contro di lui. A questi traditori si dovrebbe sparare “alla schiena”, ha suggerito un deputato postfascista molto leale. Mussolini un tempo definì traditore anche il genero Galeazzo Ciano, che nel 1943 aveva votato contro di lui al Gran Consiglio del Fascismo. Mussolini e in seguito, per entrare nelle grazie di Hitler, divenne fantoccio del dittatore a Salò, facendo così giustiziare il genero come si conviene a un “traditore”.

Il linguaggio del berlusconismo, che ha reso il fascimo nuovamente salottiero, è un misto di brutalità e frivolezza al servizio del potere e per il paese resterà a lungo un dono velenoso di quest’epoca.

Il denaro fa lo sgambetto

In un grande ostracismo l’Italia esamina in questi giorni gli altri danni che Berlusconi e i suoi seguaci hanno causato al paese, in cui l’aspetto morale fa quasi impallidire quello finanziario. Il semplicistico messaggio di Berlusconi è che con il denaro si può acquistare tutto: il monopolio dei media e i calciatori, un nuovo partito e bionde parlamentari dalle gambe lunghe, giudici brizzolati, prostitute minorenni e ruffiani delle classi agiate. Ma anche il denaro alla fine sembra mostrargli i suoi limiti. A spingerlo a rassegnare le sue dimissioni non sono stati i miliardi perduti del governo italiano o i mercati internazionali, ma la perdita del suo patrimonio mercoledì, proprio nel momento in cui, come scrive nel pomeriggio, le azioni del suo impero, Mediaset, sono precipitate del 12 per cento sulla Borsa di Milano.

I postumi della sbornia italiana sono fin d’ora abbastanza intensi, anche se l’ubriacatura non è ancora del tutto passata. Perché con le dimissioni del governo del paese si è ancor lungi dall’essere in salvo e finché Berlusconi ha con sé la sua mostruosa macchina propagandistica, c’è addirittura la minaccia di un ritorno suo o dei suoi simili.

Come sia stato possibile il fenomeno Berlusconi è un interrogativo che da 17 anni a questa parte assilla molti. Una delle tante risposte possibili, ma molto plausibile, si trova questa settimana sulla rivista L’Espresso, in una piccolo trafiletto di statistiche con gli indici d’ascolto dei canali televisivi. Quasi il 50 per cento di essi sono proprietà privata di Berlusconi e buona parte dei restanti, soprattutto i principali canali pubblici, nel corso degli anni del suo governo sono finiti sotto il suo condizionamento, come è riuscito soltanto a dittatorucoli esotici come Lukashenko e Chávez. La disinformazione sistematica, il monopolio dei media, il conflitto di interessi, sono il vecchio ritornello che i media italiani e internazionali ripetono svogliatamente, però sono vizi capitali fatali dell’Italia.

Il nuovo governo ad interim guidato dall’economista Mario Monti non sarà subito in grado di occuparsi di una legge equa sui media o di simili lussi democratici, avrà già abbastanza da fare con il salvataggio dell’economia rimasta in braghe di tela. E dovrà vedersela con gli attacchi della squadra rimediata, sarà esposto al fuoco incrociato dei media, dell’esercito di avvocati del partito del Popolo della Libertà di Berlusconi e dei modi mercenari della Lega Nord. Ma è un grande guadagno se l’Italia in Europa non è più rappresentata da un clown ridicolizzato, sottraendosi così alla gogna internazionale, alle smorfie di Sarkozy e al sorrisetto della Merkel.

Ma a prescindere dall’imbarazzante cricca di Berlusconi, l’Italia dovrà convivere ancora a lungo con un’altra anomalia: l’ammasso frantumato dell’opposizione di sinistra, che non riesce ad accordarsi su una strategia comune e su un candidato leader. Ognuno cucina la sua zuppa magra esibendosi come una prima donna. L’adesione più massiccia ce l’ha il Partito Democratico, che stando ai sondaggi oggi è ampiamente avanti al partito di Berlusconi, il che però non basta, perché manca una coalizione di alleati adeguata e perché il suo presidente, l’alquanto scialbo burocrate Pierluigi Bersani, ha difficoltà a tenere insieme le tante fazioni tra le proprie fila – non meno di undici correnti ha di recente elencato il Corriere della Sera. Più a destra non ci si può aspettare nessun aiuto affidabile, perché l’imbronciato Pier Ferdinando Casini siede lì sulle tristi rovine del Partito della Democrazia Cristiana, un tempo potente.

Dai partitelli più a sinistra arrivano ora anche dei fastidi. Il populista Antonio Di Pietro vuole essere lui stesso incoronato, non incoronatore. Anche Nichi Vendola, amato dalle giovani generazioni, ha le sue ambizioni, è tra l’altro apertamente gay e cattolico e quindi non compatibile con molti altri. E il piratesco Beppe Grillo, una testa matta con molti seguaci in internet, di coalizioni non vuole saperne. Se dovesse accadere il miracolo e Berlusconi scomparisse in una delle sue ville, in esilio o in prigione, allora il Partito Democratico si troverebbe in difficoltà in questo desolante scenario politico. Una figura presentabile sarebbe il suo brillante vicepresidente, il 45enne Enrico Letta che, proveniente dalla Democrazia Cristiana, è sbarcato alla sinistra moderata e a 33 anni era già ministro del commercio. Ma sarebbe una garanzia trovare subito un avversario alleato, per fargli uno sgambetto in tutta amicizia.

Se la vede piuttosto brutta il Belpaese, questa bellissima terra che ora ha piena fiducia solo nel suo 86enne Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano (secondo un sondaggio Demopolis si tratta dell’81 per cento), che pende dalle labbra di un vecchio saggio e prudente. Nello stesso tempo ci sarebbero anche altri intellettuali che avrebbero da dire la loro. Le librerie sono piene di testi critici sulla nuova Italia, di romanzi e libri di saggistica e in internet è in atto un vivace turbinio di idee. Molti film mettono a nudo il volto contorto dell’Italia di Berlusconi.

Ma d’altra parte le pagine culturali dei principali quotidiani sono dominate da un vuoto inquietante, che in tempi normali avrebbe potuto comunicare un’atmosfera di annoiata sofisticatezza. Qui un réportage sulla scoperta di un ritratto sconosciuto di Leonardo da Vinci, lì la recensione di una mostra di costumi d’opera. Nei feuilletons di questi giorni e settimane si cerca invano il parere di scrittori e filosofi sulla situazione della nazione travagliata. Mentre nell’ultimo numero dell’ “Espresso” Umberto Eco fornisce indottrinamenti sulle origini celtiche della festa di Halloween.

Sorprende ancor meno che Berlusconi si sia comportato come se tutto andasse bene. Mentre l’Europa intera guardava con orrore all’economia italiana e Genova sprofondava nell’acqua e nel fango, nel corso di una conferenza stampa a Cannes ha detto che la crisi non c’è e che “i ristoranti sono pieni come non mai”. Il giorno stesso su “La Repubblica” è stato pubblicato un rapporto della Caritas di Roma, alla quale ora chiede aiuto anche l’ex ceto medio, stando al quale le “mense gratuite sono piene come mai” e a Roma non ci sono mai stati così tanti pensionati che dopo la chiusura dei mercati frugano tra i rifiuti.

Devastazioni in eredità

Chi sia veramente Berlusconi si è rivelato in questi ultimi giorni, durante i quali ha continuato a giocare a poker intorno alle macerie del suo paese per mantenere il suo potere, volendo impedire un governo guidato da Mario Monti. Le sue piccanti scappatelle private saranno presto dimenticate, ma le macerie che ha lasciato sul campo come un libertino politico, gli italiani le ricorderanno anche più a lungo di lui. Oltre al disastro economico è riuscito anche a devastare innumerevoli singoli scenari, anche in ambito culturale. I suoi ministri hanno lasciato sbriciolare Pompei, hanno tagliato i fondi a teatri e a sale da concerto, hanno cancellato le risorse per la ricerca alle università quasi a livello della Mongolia. E le scuole pubbliche, comunque già in difficoltà, sono ora al livello di quelle di un paese in via di sviluppo.

Ma il suo capolavoro nel campo della distruzione è stato l’assoggettamento di Rai Uno, prima emittente della tivù pubblica. Lì il talk show del servile Bruno Vespa ha fatto da arena per i lunghi proclami del sovrano dall’eterno sorriso. Lì Augusto Minzolini, direttore del tg quotidiano, riportava le sue famigerate dichiarazioni in stile Ddr. Ma proprio in quel momento prendeva forma la resistenza di un sindacato di giornalisti con l’iniziativa “Riprendiamoci la Rai”, che – secondo il “Corriere della Sera” – dovrebbe riportare in queste istituzioni “la dignità di un servizio pubblico”. Allora nel notiziario serale si vedranno forse anche pensionati che fissano incantati i bidoni della spazzatura e non le schermate dei listini di borsa.