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La nuova moda delle società di calcio? <br/>Investire nello stadio (a tutti i costi)

Dal Real Madrid al Newcastle, dalla Juventus al presidente del Napoli, fino ad arrivare al piccolo Fc Union di Berlino: in tempi di magra, spendere denaro negli impianti conviene, per la gloria e per il portafogli

L'interno dello stadio Santiago Bernabeu di Madrid

Ce lo insegnano da quando siamo poco più che poppanti, è un refrain che si tramanda di padre in figlio, come le migliori tradizioni: in tempi di crisi, bisogna investire sul mattone. Che il mattone non tradisce mai, se compri una casa o un semplice garage stai pur certo che fra qualche anno avrai il tuo ritorno. E comunque, meglio di lasciare i quattrini a prendere freddo nel caveau di una banca, che da quelle parti tira un’aria gelida che dopo qualche tempo corri il rischio di non trovare più nulla. Ne sanno qualcosa in Spagna, nel quartier generale del Real Madrid. Pare infatti che Florentino Perez, il presidente della squadra più popolare e ricca del mondo, abbia messo recentemente la firma su un progetto che prevede la costruzione di una cittadella del tempo libero a due passi dal Bernabeu, il tempio del calcio in camiseta blanca. Si parla di un investimento pari a circa 200 milioni di euro. Il progetto, tra le altre cose, prevede anche la nascita di un hotel e di un centro commerciale. Perché d’accordo fare giocare i bambini, traguardo nobile che fa bene al cuore, ma se si trova il modo per garantire un ritorno economico che faccia felice i soci, beh, è decisamente meglio.

Sul mattone ha deciso di investire, come è noto, anche la Juventus del presidente Agnelli, che qualche mese fa ha inaugurato uno stadio nuovo di zecca che dovrebbe garantire nuova linfa alle casse bianconere, gravate da stagioni di investimeni al limite dell’imbarazzo per giocatori così così. Lo Juventus stadium è una novità del panorama italiano. E’ la prima volta che una società calcistica decide di mettere mano al portafogli per realizzare un impianto polifunzionale per generare reddito con il calcio, ma non solo. Perché anche a Torino si è pensato di costruire un supermercato all’interno della struttura. Come dire, la scatoletta di tonno è diventata un must per le società che vogliono fare affari con il pallone, va così, questione di business. L’esempio di casa Juve sembra che abbia convinto anche De Laurentiis a fare qualcosa di simile nella sua Napoli. Il numero uno della squadra partenopea ha dichiarato a l’Espresso che sta pensando di comprare il San Paolo per sistemarlo come si deve e adeguarlo agli standard europei. Nelle prossime settimane, farà sapere i tempi e i modi del suo progetto.

Investire sullo stadio, lo insegnano gli inglesi, è sempre un’ottima cosa. Anche se poi capita che per intascare gli assegni che pesano scoppi qualche baruffa con i tifosi, ancora legati, ahi loro, alle emozioni e alle passioni di un tempo. Prendete Newcastle, ad esempio. La società del presidente Mike Ashley ha pensato bene di seguire l’esempio di alcuni esimi colleghi e di battezzare con un nuovo nome lo stadio di proprietà. Da St.James Park, che per i sostenitori dei bianconeri d’Inghilterra è una sorta di tempio inviolabile (tanto per capirci, è uno degli impianti più vecchi al mondo), a Sports Direct Arena, per la somma tutt’altro che trascurabile di 10 milioni di sterline a stagione. I tifosi dei Magpies proprio non riescono a mandarla giù. Meglio un giocatore di qualità in meno, dicono loro, che tanto la Premier è questione riservata ad altri, che cambiare il nome del St.James. Ashley non ha voluto sentire ragioni. Il dado è tratto, per le lamentele rivolgersi a qualche giornale locale, il calcio ha bisogno di denaro per giustificare le proprie scelte, fine della storia.

“Abbiamo deciso di vendere la nostra anima. Sì, ma ai nostri sostenitori” avrebbe detto invece Dirk Zingler, il presidente del club tedesco Fc Union, la seconda squadra di Berlino. Zingler non vuole per nulla al mondo ripetere l’esperienza di Newcastle, il calcio tutto pailettes e lustrini gli fa paura e considera le bandiere e le tradizioni dei totem inviolabili, che per nulla al mondo potrebbero essere venduti al miglior offerente. Lo stadio Alte Försterei, tanto per dirne una, non cambierà assolutamente nome, per l’amor di Dio. E’ un impianto che risale al 1920, non si tocca. Epperò, perché no, potrà presto diventare di proprietà dei suoi tifosi, che per 500 euro ad azione potranno acquistarne un mattone o poco più. Sì, ma a patto che siano davvero soci certificati del club, che per gli altri la porta è chiusa. E c’è di più, gli azionisti potranno comprare al massimo 10 azioni a testa – perché altrimenti si rischia di far entrare sponsor mascherati – e dire la loro su tutte le scelte che riguarderanno lo stadio in futuro, nome compreso. Altro che impianto consegnato nelle mani della globalizzazione. Qui si raccoglie denaro porta a porta e soltanto nel quartiere di fiducia. E il ricavato non andrà a tappare le falle del bilancio della società, bensì servirà a costruire una struttura riservata ai tifosi, con tanto di bar. Il primo caffè lo offre la casa, per gli altri, siate gentili, passate alla cassa.