Cronaca

Forse siamo meglio della Tv: verso il 15 ottobre

Avete presente quei ragazzi di colore che vanno in giro a vendere calzini? A roma ce ne sono tantissimi. Non fanno del male a nessuno, non sono maleducati o prepotenti, danno solo “fastidio” perché a volte non demordono dopo il primo secco “no” e spesso insistono per farti comprare la loro merce. E la gente non li sopporta, non perché rubino il lavoro agli italiani o perché siano insistenti, ma perché ti fanno sentire in colpa. Perché ti mettono di fronte alla realtà di dover guardare negli occhi una persona più sfortunata di te e girarti dall’altra parte. La gente li odia perché tira fuori l’egoismo che c’è in loro.

Due giorni fa stavo scendendo dalla macchina dopo una veloce visita al supermercato. Avevo una busta di plastica alla quale si erano rotti i manici e dovevo contemporaneamente reggere la portiera della macchina che altrimenti, avendo parcheggiato in discesa, correva il rischio di graffiarsi sul marciapiedi ovviamente troppo alto. Tra la borsa, la busta della spesa con delle bottiglie pesanti dentro, la forza di gravità che voleva vincere sulla mia portiera, le chiavi della macchina e la giornata schifosa che avevo avuto, potevo dire di essere in seria difficoltà. A quel punto si avvicina questo ragazzo, tutto sorridente con una lattina di chinotto in mano e i suoi calzini in bella vista e mi fa: “ciao bellaaa! Aspetta, aiuto!” e mi tiene la portiera della macchina. La prima cosa che ho pensato, chiudendo un attimo gli occhi, è stata: “no, ti prego, non oggi…”. Invece riapro gli occhi e con un sorriso gli dico, “no, grazie, faccio da sola… ma grazie lo stesso”.

Lui: “non hai qualche monetina?”
Io: “no, mi dispiace, niente spicci”.
Lui: “non vuoi aiutarmi un pochino?”
Ed io: “mi dispiace…”
Lui mi fa un sorrisetto rassegnato e mi dice: “mi chiamo Emanuel” e mi porge la sua mano. Io gliela stringo e gli faccio ripetere il nome una seconda volta perché ha un accento strano e non lo capisco al primo tentativo. Poi mi presento anche io.
Sempre sorridendomi prosegue, “come va il lavoro?”
Sento un sincero interesse in quella domanda e quindi alzo lo sguardo e gli rispondo, con lo stesso sorrisetto rassegnato: “è un anno che non lavoro.”
A quel punto lui si ferma, il sorriso non c’è più, mi guarda negli occhi per qualche secondo e mi fa: “mi dispiace”.
Poi mi prende la mano libera, mi sfiora il dorso con le labbra in un gesto gentilissimo e se ne va, dopo avermi detto con un altro sorriso, “buona fortuna”.

Sono rimasta un bel po’ ferma lì, sotto il sole, con la busta rotta e gli occhi lucidi, prima di dirigermi verso casa, e ho pensato alle tante volte che la televisione ci racconta di quanto siano pericolosi questi “stranieri”, di quanto sia colpa loro se siamo senza lavoro e senza sicurezza… eppure nessuno sconosciuto italiano mi aveva trattata con questa gentilezza prima di allora. Nessuno ti guarda più negli occhi ormai, non so se per mancanza di tempo o di interesse.

Poi ieri mattina sono stata all’assemblea per l’organizzazione della manifestazione mondiale del 15 ottobre e c’era così tanta gente… bella gente, piena di idee, di voglia di cambiare, gente che non voleva cedere alla rassegnazione, gente che ha applaudito Maurizio Landini e Luigi de Magistris come segnali importanti di cambiamento, un cambiamento possibile anche in questa Italia e allora, mentre tornavo a casa, mi è venuto spontaneo pensare a Emanuel.

Ho pensato che forse la televisione “vuole” convincerci che la maggioranza degli italiani siano della stessa pasta di Berlusconi e D’Alema proprio come vuole convincerci che ragazzi come Emanuel siano pericolosi, perché l’unica cosa che può continuare a tenerli al potere è la diffidenza che abbiamo l’uno nei confronti dell’altro, la diffidenza che allontana la condivisione e l’unione, che sono le uniche cose che possono portare davvero al cambiamento.

Ma il cambiamento vero, non quello del nuovo ulivo, che di nuovo ha solo l’aggettivo.

Spero di vedere tante belle persone il 15 ottobre a Roma.

di Federica Fabbretti